Roma, 19 marzo 2023
«Oggi è un giorno grande per i Discepoli», diceva don Alberione, nella festa di San Giuseppe del 1956. Era una meditazione alla Famiglia Paolina radunata nella Cripta del Santuario dedicato alla Regina degli Apostoli. E aggiungeva: «Sono felice di potere dire che i voti, i desideri e le mie promesse del 1952 sono compiute». E, in un San Paolo dello stesso anno, esplicitava: «Sono in ristampa le Costituzioni nel Noviziato di Albano, con le particolarità che riguardano i carissimi Discepoli. La Sacra Congregazione nel benignamente approvarle ha voluto segnare la data: 19 Marzo 1956, che ricorda la particolare festa dei Discepoli». San Giuseppe per i Discepoli è «il Protettore, la loro missione, e ricordare quanto devono confidare in questo gloriosissimo, carissimo e silenziosissimo Santo che sempre operò nel silenzio…
Il primo pensiero da ricordarsi per onorare San Giuseppe è questo: egli viveva nella silenziosità. Era sempre proteso verso una cosa sola: fare la volontà di Dio. San Giuseppe quando riceveva gli avvisi dell’Angelo, non impiegava neppure il tempo a rispondere di sì. Si alzava e faceva. Era sempre pronto a tutto quello che piaceva al Signore e, operando in questo modo, era sempre pronto a compiere la volontà di Dio. Egli preparò l’Ostia di propiziazione, il Sacerdote eterno, il Maestro divino all’umanità. Quale missione!». E concludeva così il suo pensiero: «Oh, se tutti sempre capissero la missione del Discepolo!».
Don Alberione, a partire dalla figura di San Giuseppe, coglie l’essenziale del Discepolo: il silenzio. Che non è un farsi da parte, evitare l’impegno, non prendere posizione; e neppure essere introversi, ripiegati su se stessi, essere isolati. Il Discepolo, anzi, è uno che sa vivere bene in fraternità, e sa usare la parola in maniera assertiva. La virtù del silenzio è invece nell’apostolato. Consiste nella capacità di attenzione che gli fa accogliere la Parola di Dio e, sovrabbondando di questa Parola, la attua nell’oggi.
Senza bisogno di tante discussioni, gruppi di studio, premesse essenziali, il Discepolo riconosce la volontà di Dio e fa. Sente la “chiamata”, la missione, l’essere apostolo che “custodisce” e “porta” Dio nel mondo.
San Giuseppe crede nella Parola di Dio e la realizza nel silenzio. Quando Dio chiama, infatti, apre strade differenti: c’è chi dovrà realizzare la missione proclamando, annunciando, o gridando, come per Isaia o Giovanni Battista; e c’è chi dovrà, anche senza dire una parola, costruire il bene e parteciparlo.
Nel “silenzio”, la prima cosa che viene detta di San Giuseppe è il nome. Nella Bibbia, i nomi non sono mai casuali: essi esprimono la missione assegnata a chi li porta. Il nome di Giuseppe, nella lingua ebraica, richiama la radice del verbo “yasaph”(“aggiungere, accrescere”), e significa “JHWH accresca”. È dunque un nome augurale, che dice: “Dio aggiunga, accresca la famiglia mediante i figli”. Giuseppe è amato da Dio, tanto che decide di affidargli il suo Figlio. Quella che Giuseppe riceve è la rivelazione sul Messia, ma, soprattutto, è una “vocazione”: gli è chiesto di accogliere, come figlio, Gesù. Un figlio che non è suo, ma figlio di Dio.
Ebbene, qualunque sia il nome proprio che porta, il Discepolo è uno a cui Dio “aggiunge”, affida il suo Figlio. Probabilmente questo aspetto non lo abbiamo sottolineato abbastanza: il Discepolo ha il compito di custodire, proteggere il Dio-con-noi, perché possa arrivare a tutti. Sa tacere, appunto per custodire, mettendosi in ascolto di Dio e compiere quanto Egli ha pensato per la salvezza dell’uomo. Coltivare il silenzio è, dunque, saper stare con Dio e fare, al di là delle problematiche o dei dubbi che possono intervenire, quanto il Signore intende realizzare. Il Discepolo risponde prontamente alla sua vocazione: custodisce Cristo nella sua vita per custodire gli altri e il creato. E, come San Giuseppe, si lascia guidare dalla Parola di Dio: per questo è sensibile alle persone che gli sono affidate, legge con realismo gli avvenimenti, prende le decisioni più sagge. Perché sono quelle di Dio.
C’è un secondo aspetto. San Giuseppe, nonostante le apparenze contrarie, obbedendo alle parole dell’angelo, «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Matteo 1,24); in seguito, su indicazione dell’angelo del Signore, «egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Matteo 2,14); e poi, di nuovo, dopo che gli appare l’angelo del Signore, «egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele» (Matteo 2,21). Giuseppe, certamente, avrà avuto dei progetti, ma li sa mettere da parte rispondendo alla chiamata e alla Parola di Dio. Nessuna parola da parte sua, solo l’adempimento della storia della salvezza. Ecco il Discepolo: pronto ad “alzarsi” e andare dove Dio indica, anche se vengono stravolti i propri progetti e priorità. Ma è importante questo “dove Dio indica”: è Lui che indica come rispondere nelle differenti situazioni ed è sempre in relazione alla salvezza. L’obiettivo è sempre l’evangelizzazione, il far conoscere e accogliere Gesù Maestro Via Verità e Vita. Tutto va riferito e confrontato con l’esigenza e l’urgenza di vivere, testimoniare e portare il Vangelo alle genti.
In comunione con Dio, Giuseppe sa fare la cosa giusta; per questo l’evangelista lo definisce “uomo giusto” (Matteo 1,19): non si tratta di una descrizione morale, ma di comportamento che continua l’opera di Dio nel mondo.
Qui, si inseriscono, sempre nel silenzio, in Giuseppe, la sua laboriosità e il suo lavoro. L’attività da lui svolta è quella di tekton, che possiamo tradurre con artigiano, carpentiere, costruttore; ma anche capo cantiere che insegna il lavoro agli operai. Una delle competenze del tekton, oltre a quella lavorativa, è quella della conoscenza della Torah: perché egli realizza quanto è stato chiesto ad Adam, posto «nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Genesi 2,15).
In questo caso, la laboriosità del Discepolo si concretizza nel coltivare e custodire le genti, facendo loro pervenire la Parola di Dio che è vita.
Per quanto riguarda la sua vita, non è detto che per San Giuseppe sia stato tutto facile. Come tutti, anche lui certamente avrà avuto dei progetti, a breve e a lungo termine. Progetti apparentemente “rovinati” dall’intervento di Dio su Maria. Nella titubanza di Giuseppe possiamo vedere le nostre incertezze, ma anche i nostri sogni e desideri che vengono bloccati. E la ricerca di soluzioni che ci appaiono razionali. Ma la storia di Giuseppe non termina nei suoi dubbi. I suoi sogni continuano con un nuovo progetto, un nuovo sogno che emerge proprio dalle macerie di quello che credeva distrutto. Ed è il sogno, il desiderio di Dio che vuole entrare nella storia umana, e in questo progetto vuole coinvolgere proprio Giuseppe.
È la grande testimonianza dei Discepoli. Pur avendo elaborato un tragitto, sono aperti alle sorprese: pronti ad accogliere una strada differente che Dio, all’improvviso, mette davanti. E, un passo dopo l’altro, procedono: gli basta che il Signore sia con loro.
Ogni Discepolo ha il compito di San Giuseppe: come lui, anch’egli all’inizio si schermirà, ma poi volgerà tutte le sue forze, il suo essere, il suo tempo perché il Figlio di Dio che gli è stato affidato possa essere conosciuto e accolto nel mondo. Ecco il compito straordinario dei Discepoli!
Il vivere nel silenzio accompagna tutta la vita di San Giuseppe secondo i Vangeli. Ma ciò gli rende possibile il contatto quotidiano con il «mistero nascosto da secoli e da generazioni» (Colossesi 1,26) che ha preso dimora nella sua casa. Quel contatto quotidiano che lo rende custode dell’umanità e patrono della Chiesa.
E modello per i Discepoli.
In questo giorno in cui ricordiamo San Giuseppe a tutti i Discepoli rivolgo nuovamente l’augurio che già faceva loro don Alberione (San Paolo, marzo 1950): «Che San Giuseppe, cooperatore dell’opera della Redenzione, vi renda sapienti e generosi cooperatori nel ministero della Divina Parola».
Auguri!
Don Gerardo e fratelli del Consiglio provinciale