È Pasqua. Alcune donne vanno al sepolcro dove era stato posto Gesù. Lì trovano un angelo che le rincuora e affida loro un messaggio da annunciare: “È risorto!”.
L’evangelista Matteo descrive così l’episodio: «L’angelo disse alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”. Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (Matteo 28,5-8).
L’evangelista Marco descrive l’episodio con parole simili, ma il finale è differente: «Egli (l’angelo) disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”. Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Marco 16,6-8).
Non sappiamo come siano andate veramente i fatti. Ma non è importante. Ciò che conta è come noi oggi reagiamo all’annuncio della Risurrezione.
Pasqua. Due atteggiamenti possibili. Con timore e gioia grande si corre a dare l’annuncio. Oppure, pieni di spavento e di stupore, non si dice niente a nessuno.
È facile identificarci nelle donne che, piene di gioia, vanno ad annunciare un evento così importante come la risurrezione di Gesù. Ogni apostolo si sente inviato ad annunciare. Noi, come Paolini, ne siamo convinti. E abbiamo anche una grande storia di evangelizzatori da raccontare.
Meno facile, invece, è pensare di far parte di quelle persone che, per paura (o qualunque altro significato vogliamo dare a questo termine), non dicono niente a nessuno.
Le donne sono spaventate. Fuggono. Hanno fatto l’esperienza del sepolcro vuoto, dell’angelo, della missione che è stata loro affidata. Sono disorientate, hanno paura. Difficile spiegare questo finale… Probabilmente l’evangelista Marco scrive questo versetto più per noi che per quelle donne che erano andate al sepolcro.
Viviamo in un mondo che spesso facciamo fatica a gestire, e sono tanti i mali che ci affliggono: l’insicurezza nella vita quotidiana, la sofferenza nella malattia, il disagio della morte, la violenza delle guerre, l’incitamento all’odio, la cultura della cancellazione; la tecnologia che fa sognare ma che troppo spesso non dà risposte adeguate alle esigenze del singolo; i processi di comunicazione sempre più sofisticati; la politica piena di promesse che poi non mantiene; e la stessa Chiesa, intesa come istituzione, che tante volte risulta poco credibile.
E l’angelo ci dice che non dobbiamo cercare un morto tra i morti. Gesù, il crocifisso, è risorto. In Lui la morte è sconfitta per sempre. Ed è importante farlo sapere a tutti.
Le donne, al sepolcro, sono state testimoni di qualcosa di eccezionale e hanno avuto l’incarico di comunicare agli altri quanto hanno sperimentato. Tuttavia, disattendono questa missione. L’annuncio che avrebbe riempito di gioia ogni discepolo di Gesù e chiunque attendeva il Messia viene invece consegnato al silenzio.
Gesù è risorto. Abbiamo sentito questa parola “risorto” tante volte nella vita, e certamente l’abbiamo anche detta. Proviamo, allora, a penetrare in questa parola: “Risorto”. Riusciamo a definirla, vederla, sentirne la potenza? Noi abbiamo esperienza della vita, in parte anche della morte, quella degli altri. Ma la risurrezione? Cosa è, cosa significa, cosa comporta essere risorti? Quando superiamo una esperienza tremenda, diciamo che siamo come risorti. Ma non è la stessa cosa. Risurrezione è attraversare la morte ed… essere. Ecco, la risposta può essere il silenzio. Di fronte a una realtà inaudita, impensabile, le donne al sepolcro non trovano altra alternativa che tenere per sé quella emozione. Troppo grande da dirla in parole.
Ognuno di noi corre il rischio di non dire niente a nessuno. Abbiamo ricevuto la notizia del Risorto, ma troppo spesso non siamo testimoni del Risorto. Gesù invece ci sprona ad essere annunciatori del Vangelo, dell’amore di Dio più forte della morte. Un annuncio fatto non solo di parole, ma anche di gesti e di prossimità per la salvezza dell’uomo.
Gesù è risorto. Si tratta allora di penetrare in queste parole, coglierne non solo il suono e il senso ma anche la vitalità. E lasciare che Cristo risorto penetri in noi, sovrabbondi in noi. E, se non troveremo le parole giuste per annunciarlo, saranno le nostre persone, piene di gioia ed entusiasmo, a dire: Cristo è davvero risorto, è il nostro Salvatore, non siamo perduti.
È essere trasfigurati come quell’uomo, cieco dalla nascita, di cui ci parla l’evangelista Giovanni (9,8-9): «Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: “Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?”. Alcuni dicevano: “È lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Io sono!”». Chi lo conosceva fa fatica a riconoscerlo. Come mai? Perché è trasformato dall’incontro con Cristo. Ecco perché dice “Io sono”, termine identificativo di Dio. Ha acquisito i tratti divini, non ha più quelli umani. È quello che dirà l’apostolo Paolo di sé: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Galati 2,19-20).
San Gregorio Nazianzeno, in Eis ton Aghion Pascha, spiega cosa avviene nella Pasqua del Signore: «All’immagine di Dio che è in noi, restituiamo tutto lo splendore che le è proprio e riconosciamo la nostra dignità. Cerchiamo di essere simili a Cristo dal momento che Cristo si è fatto simile a noi. Diventiamo Dio per mezzo di lui, dato che lui si è fatto uomo per noi. Si è fatto povero per arricchirci. Si è fatto servo perché noi ottenessimo la libertà. È disceso perché noi fossimo innalzati. È stato tentato perché noi superassimo la prova. È stato disprezzato perché noi avessimo gloria. È morto perché noi fossimo salvati. È salito al cielo per attirare a sé quelli che giacevano a terra». E precisa l’azione di Cristo in noi: «Io sono il vostro perdono. Io la Pasqua della vostra salvezza. Io l’agnello immolato per voi. Sono io il vostro riscatto, la vostra vita, la vostra risurrezione. Sono io la vostra luce, la vostra salvezza, il vostro re. Io vi conduco nell’alto dei cieli, Io vi mostrerò il Padre immortale, Io vi farò risorgere con la mia destra».
“Non abbiate paura!”, dice l’angelo alle donne. È anche ciò che Gesù dice a noi. Ce lo ricorda don Alberione: “Non temete (non abbiate paura), Io sono con voi!”. Il Signore si presenta con un invito alla fiducia in lui. Ritroviamo queste due frasi varie volte nella Bibbia. Dette da Dio ad Abramo, Mosè, Elia, Isaia, Geremia, Maria di Nazareth, Pietro, Paolo, agli altri apostoli e poi a tanti testimoni lungo i secoli. E nessuno ha lasciato a metà la propria missione.
“Non abbiate paura”. È l’invito a uscire fuori dalle nostre paure, dai nostri dubbi e dalle nostre incertezze. Di fronte all’evento della Risurrezione non si può stare fermi, né si può tacere. Sarebbe un venir meno alla nostra vocazione. La ragion d’essere dei Paolini è l’annuncio del Vangelo, è annunciare Cristo nostra Pasqua, sempre e dovunque.
“È risorto non è qui. Vi precede in Galilea”. Spesso i nostri timori sono dettati dal trovarci davanti a strade nuove, territori inesplorati. Ma ogni timore svanisce se ci accorgiamo che stiamo andando incontro al Signore che ci “precede in Galilea”; qui egli già si trova e opera con il suo amore misericordioso.
E ci attende per continuare l’opera della creazione.
Questa Pasqua, allora, ci veda “in uscita”, con il nostro annuncio ma, soprattutto, con la nostra vita trasfigurata, risorta.
Buona Pasqua!
Don Gerardo Curto