Tertulliano, Cipriano e Agostino, Padri della Chiesa, e tanti commentatori della Bibbia, lungo i secoli, hanno esaltato il Padre nostro: è la preghiera perfetta, perché insegnata direttamente da Gesù; è il compimento di tutte le preghiere dell’Antico Testamento; è la sintesi della dottrina cristiana. Il motivo di questa enfasi deriva dal fatto che il credente ripete le parole stesse di Gesù, frutto del suo stesso pregare.
Leggendo i Vangeli appare evidente che tutto l’agire di Gesù e la sua predicazione hanno origine nella preghiera, nella sua intimità con il Padre.
Le folle accorrono a lui, e Gesù sente l’urgenza della sua missione di salvezza. «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo», dirà ai discepoli di Giovanni Battista che lo interrogavano (Matteo 11,5). Ma Gesù sente anche la necessità di appartarsi in solitudine per pregare, soprattutto durante la notte o al mattino presto: si ritira “in luoghi deserti”, “in disparte”, “da solo”, “sul monte”, e “secondo il suo solito, sul monte degli Ulivi”.
Era anche assiduo alla preghiera pubblica in Sinagoga e alle celebrazioni annuali al Tempio di Gerusalemme: Salmi, recita dello Shema‘ Jisra’el, delle Diciotto benedizioni, lettura della Torah e dei Profeti.
Anche il momento della morte è accompagnato dalla preghiera. Le ultime parole, sulla croce, sono di un Salmo; invoca dal Padre il perdono per i suoi carnefici (Luca 23,34) e consegna con fiducia il proprio respiro nelle sue mani (Luca 23,46; Salmo 31,6).
Rivolgendosi al Padre, Gesù si interessa anche degli altri, e prega per loro. Intercede per Pietro: «Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Luca 22,31-32). E prega per i discepoli: «Io prego per loro… Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Giovanni 17,9.11). Con la sua preghiera per gli altri (e quindi anche per noi), Gesù ci fa capire che nessuna preghiera rimarrà inascoltata, perché Dio è Padre e non dimentica i suoi figli.
Gesù pregava come appunto prega ogni fedele. Ma nel suo modo di pregare c’era qualcosa di particolare, che ha attirato l’attenzione dei suoi discepoli. I quali un giorno gli chiedono: «Signore, insegnaci a pregare» (Luca 11,1). Vogliono imparare a pregare con quella intensità che derivava dalla sua comunione con il Padre.
Gesù è ben contento della richiesta dei suoi discepoli. Ed ecco il Padre nostro. Una preghiera che, allo stesso tempo, è un modo di pregare, un modo di essere in comunione con Dio. Gesù non è geloso della sua intimità con il Padre, anzi il suo scopo è introdurci in questa intimità.
Anche se conosciamo a memoria le parole del Padre nostro, anche se lo recitiamo da tanti anni, diventa importante rivolgerci a lui e dirgli: «Signore, insegnami a pregare!».
[“Voi dunque pregate così: Padre nostro”, 4 – continua]
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