Siamo in un tempo nuovo per la fede e per la Chiesa. Un tempo che sconvolge le nostre certezze e il nostro modo di vivere da credenti. Si parla di fine della cristianità.
«Il contesto culturale in cui oggi viviamo crede e afferma con convinzione che non abbiamo più bisogno di Dio per spiegare da dove veniamo, per comprendere chi veramente siamo e verso quale futuro camminiamo, non c’è bisogno di Dio per spiegare il senso del nostro vivere. […] Non c’è più solo una verità che spiega tutto, ma ci sono verità diverse che spiegano aspetti diversi. Oggi si preferisce parlare di affermazione della soggettività, di emotività, di differenza, di alterità, di fascino della trasformazione, per arrivare alla conclusione che non sia possibile dare un fondamento unico a tutti gli eventi o che vi siano principi ultimi che spiegano la realtà. […] Non abbiamo più bisogno di destini segnati, ma ciascuno ha diritto di costruire liberamente la propria vita al di là di ogni schema sociale o etico. In questo modo viene meno ogni morale, perde valore il freno del senso di colpa e si afferma l’ideale della liberalizzazione dei costumi sessuali e della necessità di immaginarsi una vita umana fatta di libertà, di esplorazione, di spontaneità, di interminabile giovinezza. […] In questo contesto culturale, così nuovo per alcuni di noi e così “poco cristiano”, l’uomo attuale vive alcune esperienze nuove che segnano il nostro tempo e che ci interrogano come credenti».
Di queste tematiche tratta mons. Marco Prastaro, vescovo di Asti, nel suo ultimo libro Dio dove sei finito? (Edizioni San Paolo 2023, pp.177): un tentativo coraggioso e coinvolgente di ragionare sulla vita della Chiesa e sull’esperienza cristiana nel mondo di oggi.
«La grande fatica che facciamo a portare avanti attività pastorali con sempre meno persone e sempre più difficoltà, il continuo assottigliarsi delle nostre comunità, ci rendono inclini allo scoraggiamento e al lasciarsi andare. Per non parlare dell’ignoranza, dell’indifferenza e a volte dell’ostilità della società verso la Chiesa e verso i credenti, che ci spaventano e che sentiamo ingiuste. In questo contesto, sempre più spesso ci sentiamo soli e sperduti. Abbiamo scoperto di essere poveri e piccoli. Ecco perché con grande angoscia ci chiediamo: se l’epoca della cristianità è finita, Dio che fine ha fatto?».
L’autore riflette sulla complessità della nostra realtà. Attinge alla sua lunga esperienza in terra di missione come sacerdote “Fidei donum”, ai ricordi e agli incontri con realtà missionarie in alcune giovani Chiese. La freschezza della loro vita ci può aiutare a ritornare agli esordi dell’esperienza cristiana, a riscoprire la bellezza del Vangelo, a non perdere la speranza in un possibile mondo migliore. Soprattutto ci può spronare a gettarci alle spalle quella sorta di “maledizione” che ci siamo inflitti, pensando che Dio ci abbia dimenticato.
«Ecco la nostra certezza: Dio continua ad abitare questo nostro tempo, continua ad operare la sua salvezza, continua ad essere vicino a noi, continua a far maturare la “messe abbondante” nonostante i pochi operai. Egli ha già operato, ci ha già preceduti, egli è già presente nel mondo. Anche in chi è più lontano, indifferente o addirittura ostile alla fede, Dio ha già fatto germogliare la sua messe. Perché Dio, sempre e comunque, ama stare con gli uomini. Dunque, ama abitare anche in questo mondo, che pare non volerlo o, forse peggio ancora, non esserne interessato. Ecco dove è finito Dio: dove è sempre stato, in mezzo a noi, nelle pieghe più o meno luminose della storia degli uomini», là dove la vita si svolge, là dove la gente vive, soffre, lotta e pecca.
«Il compito proprio della Chiesa, il suo “quid” – specifica mons. Marco Prastaro -, è annunciare il Vangelo, perché il dono unico e particolare che i cristiani hanno da offrire al mondo è Gesù, altro di nostro da offrire non abbiamo».
E c’è anche una modalità per presentarsi, ce lo ha mostrato Gesù. Ecco un ricordo dell’autore: «Negli anni in cui ero in Kenya come sacerdote “Fidei donum” ho cercato di farmi “Samburu fra i Samburu”, ma ahimè, temo di essere sempre e solo restato “Italiano fra i Samburu”. Gesù si è spogliato della sua natura divina e si è fatto uomo».