Don Giacomo Alberione, dopo aver fondato e diretto per tanti anni la Famiglia Paolina, descrive il suo posto all’interno di essa: “Così intendo appartenere a questa mirabile Famiglia Paolina: come servo ora ed in cielo; ove mi occuperò di quelli che adoperano i mezzi moderni più efficaci di bene: in santità, in Christo [et] in Ecclesia” (Abundantes divitiae 3).
Don Alberione “ebbe da Dio talenti straordinari. Dotato com’era dalla natura e dalla grazia, egli diede “tutto”, a servizio di Dio e delle anime”. In questa parola, tutto, sta la sintesi semplice e profonda del suo pensiero spirituale e la meravigliosa realtà della sua vita.
- Ecco infatti come egli proponeva il nucleo della spiritualità che ha trasmesso: “tutto l’uomo in Gesù Cristo, per un totale amore a Dio: intelligenza, volontà, cuore, forze fisiche. Tutto: natura, grazia, vocazione per l’apostolato”.
- Ecco come egli concepiva la consacrazione religiosa: “Consacro tutto me stesso a Dio. tutto: ecco la grande parola! La santità dipende da quel tutto”.
- Ecco il suo modo di cogliere la persona umana e di amarla: “Quando benedico, benedico tutto l’essere: non soltanto la testa, o la volontà, o il cuore, ma tutto l’essere”.
- Ecco il senso del suo interesse apostolico verso gli uomini: “far vivere l’uomo in Gesù Cristo con tutto il suo essere e in tutto il suo essere”.
- Ecco il suo orizzonte ecclesiale e apostolico: “Rivolti verto tutto il mondo, in tutto l’apostolato, per tutte le categorie di persone, tutte le questioni… tutte le necessità pubbliche e private, tutto il culto…”.
Tale è la prospettiva, forte e unitaria di questa esistenza chiamata da Dio a vivere e a suggerire, per settant’anni di questo secolo, il senso della integralità umana in Cristo, cioè quella che risulterà una preoccupazione fondamentale del Concilio Vaticano II: la risposta alla vocazione integrale dell’uomo. […]
Se potessimo chiedere a don Alberione nostro padre quale possa essere il tema di guida per noi, nell’ora in cui egli ci lascia per il premio, udremmo ancora, con la medesima spontaneità, quelle stesse parole: “Mi protendo in avanti”. Questo è stato il senso della sua vita paolina; questo è l’ordine che egli ci lascia, a nome del protettore da lui scelto, San Paolo. […] Don Alberione ha avuto come caratteristica fondamentale la capacità e la volontà del nuovo, nel campo dello spirito e dell’apostolato; una visione aperta, tesa in avanti verso i segni dei tempi, sensibile agli uomini con cui facciamo cammino.
Cosa farebbe oggi il nostro Fondatore, per realizzare il carisma datogli da Dio? Come ha fatto ad amare Cristo con questa spinta semplice ed ininterrotta di tutta la vita? Come ha fatto ad amare gli uomini e a suscitare intorno a sé tante energie di risposta, a servizio dei fratelli del suo secolo?
Dinanzi a queste responsabilità, nasce oggi per noi, in questo momento di così grande valore, una nuova garanzia: la intercessione di don Alberione presso Dio. Egli credeva profondamente alla unione operante tra i fratelli vivi e defunti […]. Siamo stati uniti nella professione della fede; continuiamo a restare uniti: i vivi mediante i suffragi, i defunti con la intercessione per noi presso Dio. Noi crediamo pienamente in questa intercessione che si inizia oggi per noi presso Dio” (dall’omelia di don Giovanni Roatta al funerale solenne di don Giacomo Alberione, 30 novembre 1971).
Le ultime parole don Alberione, prima di morire, sono rimaste scolpite nel cuore di tutti i suoi figli e figlie, come un testamento: “Santità… Paradiso!”. Santità: essere di Cristo, vivere per lui! Paradiso: essere con Cristo, per sempre.
Un percorso attraverso i pannelli che raccontano la sua storia, presenti nel corridoio antistante la sottocripta della Basilica Regina degli Apostoli
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