Evangelizzare con i moderni mezzi e nella cultura della comunicazione è l’impegno, la vocazione, la missione dei religiosi della Società San Paolo nella Chiesa oggi.
Conquistati da Cristo, si impegnano a «dare al mondo Gesù Via, Verità e Vita», a far arrivare «la Buona Notizia» a tutti, tramite le Librerie San Paolo, le riviste, i libri, la tv, la radio, la musica, i film, internet… «Quando questi mezzi del progresso servono alla evangelizzazione, ricevono una consacrazione, sono elevati alla massima dignità. L’ufficio dello scrittore, il locale della tecnica, la libreria divengono chiesa e pulpito. Chi vi opera, assurge alla dignità dell’apostolo» (Ut Perfectus Sit homo Dei, I, 316).
I Paolini si identificano col nome dell’apostolo Paolo. A lui si ispirano per vivere con il suo stesso entusiasmo la missione di annuncio. Anzi, si impegnano a essere “san Paolo vivo oggi”, seguendo l’idea carismatica del beato don Giacomo Alberione.
Egli ha ben chiaro il cammino da percorrere. E lo indica, oggi, ai futuri apostoli.
L’esigenza: fare qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo: dare le anime a Dio e Dio alle anime
- Consideriamo le diverse povertà, in particolar modo quelle spirituali, che magari fanno meno rumore, sono meno appariscenti, ma non meno urgenti: la fame e la sete di speranza, di ascolto, di senso nella vita…
Il problema:la progressiva frattura tra il mondo moderno e la vita di fede.
- Oggi si contano sulla terra oltre otto miliardi di persone. Solo un sesto professa la religione cattolica… La vera causa è la mancanza di dispensatori, mancano gli apostoli … L’errore capitale di oggi è questo: che il gran tesoro della verità, che le ricchezze della Fede, rimangono sepolte.
La soluzione:necessità di una nuova evangelizzazione.
- Un radicale cambiamento di mentalità: non aspettare la gente in chiesa, ma andare a portare il Vangelo dove le masse vivono e operano. “Fate a tutti la carità della verità”.
Don Alberione, nel suo testo L’apostolato dell’edizione (cap. V), non si accontenta più dell’affermazione che bisogna «parlare di tutto cristianamente» o «sempre scrivere cristianamente». L’apostolo deve andare oltre. E indica Dio stesso come modello dell’apostolo scrittore.
«Per non venire meno al compito di apostolo della stampa che richiede si dia il vero della dottrina, il bene della morale e il bello della forma, non è necessario scrivere sempre di religione, ma bisogna sempre scrivere cristianamente. Questo è possibile ad ogni scrittore cristiano. L’apostolo tuttavia deve spingersi più innanzi. Egli ha la sua missione specifica: estendere nel tempo e nello spazio l’opera di Dio autore della Sacra Scrittura.
Il modello è quindi Dio…. Così devono essere gli scritti dell’apostolo.
Gli scritti dell’apostolo devono essere “Via”. Perché i suoi scritti siano la vera via che conduce al Cielo, l’apostolo deve modellarsi sulla Bibbia, ossia trattare il medesimo suo argomento, nel medesimo modo e col medesimo fine. Argomento della Bibbia sono le verità riguardanti Dio e l’anima. Questi, e non altri, devono essere gli argomenti trattati dall’apostolo scrittore.
Gli scritti dell’apostolo devono essere “Verità”. L’apostolo della stampa non si propone di comporre opere scientifiche o letterarie, per se stesse, non di divulgare idee proprie o di altri uomini, ma egli mira esclusivamente a divulgare le verità rivelate quali ci sono date dalla Chiesa…
Gli scritti dell’apostolo devono essere “Vita”. Gli scritti dell’apostolo della stampa, in quanto sono un’estensione dell’opera divina, devono impressionare e santificare gli animi. Diversamente l’apostolo della stampa non raggiungerebbe il suo scopo».
Per il Paolino sarebbe dunque limitante credere che basti “parlare di tutto cristianamente”. Perché don Alberione, per l’apostolo, e quindi per il Paolino, esigeva di “spingersi più innanzi. Egli ha una missione specifica: estendere nel tempo e nello spazio l’opera di Dio”. Evangelizzare: nel senso di condurre a Dio e far conoscere Dio nel mondo, e adoperarsi per la salvezza delle persone.
Utile, a questo proposito, quanto affermato dal Papa Paolo VI in un suo discorso (Manila, 29 novembre 1970): «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Corinzi 9, 16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Matteo 16, 16)». Il Papa prosegue presentando Gesù e la sua presenza nella storia e nella vita delle persone. Poi conclude: «Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico. Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli».
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