Beato Giacomo Alberione

Celebrazione Eucaristica 26 novembre 2022

Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! […] mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo…” (1 Corinzi 9,16-23).

“Disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. […] chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò” (Giovanni 14,1-14).

Nella memoria del beato Giacomo Alberione, la Comunità Paolina di Cinisello Balsamo festeggia il 75 anniversario della fondazione della casa.

Nella Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato, ritroviamo i cardini del pensiero e dell’agire di don Alberione.

Come per l’apostolo Paolo, anche per don Alberione il Vangelo è una necessità che si impone: “guai a me se non annuncio il Vangelo!”; “mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno… tutto io faccio per il Vangelo”.

Don Alberione assume il “tutto” di San Paolo: “Si deve portare tutto Cristo all’uomo e dare tutto l’uomo a Dio per Gesù Cristo” (San Paolo, nov-dic 1954). Il che significa: “Dare Gesù Cristo al mondo, in modo completo, come Egli si è definito: Io sono la Via, la Verità e la Vita” (UPS I, 120), e di questo ci ha parlato il Vangelo di oggi.

L’eredità più grande che don Alberione ci ha lasciato non sono i mezzi tecnologici, pur così necessari soprattutto oggi. Dietro a tutto quello che don Alberione ha realizzato vediamo piuttosto il suo zelo apostolico, la sua sollecitudine pastorale, il suo desiderio di salvare l’uomo.

Sono criteri per il nostro apostolato.

  • attenzione a Dio,
  • attenzione alle persone,
  • attenzione ai linguaggi della comunicazione.

L’attenzione a Dio testimoniata dalla nostra consacrazione innanzitutto e dalla priorità che, per noi, ha la Parola di Dio. “Tutto io faccio per il Vangelo”: è la dedizione assoluta come atteggiamento e come comportamento, è il coinvolgimento in prima persona. Si tratta di mettere in gioco la nostra persona a motivo del Vangelo, quel Vangelo che abbiamo accolto e che ci ha trasformato. E agire anche in funzione del Vangelo, a vantaggio del Vangelo, a nome del Vangelo, di cui siamo annunciatori. Perché il Vangelo sia conosciuto, arrivi a tutte le genti per “portare tutto Cristo all’uomo”. Mettere la Bibbia nelle mani della gente, ma soprattutto fare in modo che il popolo di Dio la legga e orienti la propria vita seguendo Gesù, Via Verità e Vita.

“Per la Chiesa – scrive Paolo VI – non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità” (Evangelii Nuntiandi, 19).

L’attenzione alle persone: è il farsi “tutto a tutti”, in empatia con le situazioni, la cultura, le persone. Evangelizzare è andare incontro all’uomo contemporaneo che incontriamo sulle nostre strade, che si dibatte con i problemi della vita ed è influenzato da una società secolarizzata e consumistica. Don Alberione aveva una predilezione speciale per coloro che vivono ai margini della società. “…specialmente il soccorso è prima per i più bisognosi; poiché il pastore, assicurato il gregge fedele, corre ed espone sé stesso per la pecorella smarrita. L’apostolo della Stampa preferisce i derelitti… Va ai singoli, va alle case, va agli avversari; va ai poveri vergognosi che non osano mangiare il pane spezzato dal pulpito alla comune dei fedeli; va agli infedeli che ignorano il Padre ed il Figlio con il suo Vangelo e lo Spirito del Padre e del Figlio; va agli insidiati nella fede, per la scuola, per la stampa, per le massime mondane; va ai dubbiosi, va agli uomini assorbiti dalle cure di governo, di ufficio, di lavoro. Ed è l’angelo che a tutti ricorda i destini eterni e le vie del cielo: parla di Dio e del cielo ai figli di Dio che guardano solo la terra” (Apostolato Stampa, Alba, 1933, p. 109).

Ci dobbiamo sentire – scriveva don Alberione – “come San Paolo, debitori a tutti gli uomini, ignoranti e colti, cattolici, comunisti, pagani, musulmani…” (Regina Apostolorum, Aprile 1951).

Il farsi “tutto a tutti” è legato, deve essere legato al desiderio di portare alla salvezza: “Per salvare a ogni costo qualcuno”, come dice San Paolo. È un compito che per l’Apostolo, e per noi come apostoli, non conosce né limiti né scuse, al quale non possiamo venir meno perché ce lo ha affidato Dio stesso, e dobbiamo compierlo “ad ogni costo”, con quella inventiva di cui soltanto l’amore è capace.

Ci sprona a questo anche Papa Francesco: “Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno…» (Evangelii Gaudium, 23).

L’attenzione ai linguaggi della comunicazione. È fondamentale per tradurre in modo comprensibile il messaggio cristiano nei concetti, negli usi, nel linguaggio e nelle modalità di una data cultura, cosicché il Vangelo non appaia come qualcosa di estraneo, ma come parte integrante di quella cultura e della vita delle persone. Parlare agli uomini di oggi con i mezzi di oggi. È questione di adattamento alla generazione alla quale noi ci rivolgiamo, in uno sforzo continuo di fedeltà al destinatario e alle modalità comunicative che gli sono proprie. “Sempre intento a scrutare i segni dei tempi, don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi”, disse Paolo VI.

Il “protendersi in avanti” di don Alberione, inevitabilmente, deve continuare ad essere il nostro modo di attuare l’evangelizzazione.

Ma è anche la direttiva pastorale di Papa Francesco: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del si è fatto sempre così. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile, i metodi evangelizzatori…» (Evangelii Gaudium 33).

La parola chiave, anche nell’evangelizzazione, è: cambiamento. Questo implica la necessità di una mentalità nuova, di un sistema organizzativo nuovo, di linguaggi nuovi, e di profeti e apostoli nuovi e rinnovati che realizzano una esperienza con Dio e ne danno testimonianza al mondo. Diventare maestri di desiderio. Sognare che il mondo, con il nostro apostolato, può essere differente e migliore.

Di fronte ad un compito così arduo, ricordiamo le parole di don Alberione: “Occorrono dei santi che ci precedano in queste vie non ancora battute e in parte neppure indicate. Non è affare da dilettanti, ma di veri apostoli” (San Paolo, novembre 1950).

Di fronte ai possibili timori, alle esitazioni, agli ostacoli che possiamo incontrare, ci consola e ci incoraggia quanto afferma oggi Gesù, nel Vangelo: “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste… qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò… Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”.

Settantacinque anni fa, alcuni Paolini hanno seguito il loro sogno – che era il sogno di don Alberione ed era il sogno di Dio – qui, a Cinisello Balsamo, nella Villa Casati. Un sogno che era desiderio di arrivare a tutti, di essere apostoli nel mondo di oggi, di far conoscere Gesù Via Verità e Vita nelle più ampie zone di territorio.

In questi settantacinque anni, tante cose sono capitate. La comunità, inizialmente, si è ingrandita, sono sorti nuovi edifici per ospitare quanti rispondevano alla chiamata paolina. Nuove strutture per l’Apostolato.

Oggi ci chiediamo: dello zelo iniziale, della passione iniziale, che cosa è rimasto? Quale immagine di paolino viviamo? Quale immagine proponiamo? E, soprattutto, cosa dobbiamo fare per rispondere, oggi, alla chiamata che ci ha resi apostoli nella San Paolo?

Abbiamo il dovere di non tirarci indietro, di non lasciarci relegare ai margini di un mondo dove ogni timidezza si paga con l’emarginazione, dove l’errore fa retrocedere di decenni, dove ogni ritardo tecnologico significa milioni di persone ignorate o perse.

Ma soprattutto abbiamo il dovere di continuare ad essere “consacrati per la missione”, visibili nel nostro essere apostoli.

Don Alberione ci sprona ancora a “protenderci in avanti”.

I Paolini sono necessari per ciò che erano destinati a essere sin dal principio: una voce spirituale, un segno controcorrente, una presenza profetica nella cultura.

In un’epoca sempre più tecnologica, come quella odierna, a vasta diffusione e circolazione di idee, di fronte a una cultura sempre più dissociata dai valori cristiani e umani, e all’allontanamento della gente da Dio, il Paolino evangelizza il mondo e la cultura della comunicazione, utilizzando ogni tecnologia disponibile per far giungere a tutti il Vangelo, ma non dimentica che il primo mezzo di comunicazione, quello possibile a tutti, è la propria persona che vive con coerenza ed in fraternità il Vangelo che annuncia.

Diceva don Alberione: “Se San Paolo vivesse oggi, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio: lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d’ogni paese.” (San Paolo, ottobre 1954).

Concludo con l’invito, sempre valido, e che oggi diventa augurio, che ci viene dall’esortazione apostolica Vita consecrata (n. 110): “Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi cose grandi”.