San Giuseppe, Patrono dei Discepoli del Divin Maestro

San Giuseppe, protettore dei Discepoli, patrono dei Discepoli. Due termini che richiamano l’idea di padre. Riferendosi a san Giuseppe sono tante le virtù che normalmente vengono messe in evidenza: il suo essere “giusto”, l’obbedienza ai precetti religiosi, la sua laboriosità, l’accogliere silenzioso della volontà di Dio… Ma c’è un aspetto che merita la nostra considerazione: la missione, che Dio gli affida, di fare il “padre” di Gesù.

Scriveva il Fondatore: «Onoriamo San Giuseppe per la grazia che egli ebbe di convivere con Gesù fanciullo, con Gesù bambino, con Gesù che cominciava ad apprendere il mestiere di falegname sotto la sua guida». San Giuseppe «portava in braccio il suo bambino. Scherzava con lui, faceva santissimi discorsi e il bambino gli asciugava i sudori della fronte ed egli si compiaceva di passare qualche tempo fra la venerazione e l’amore» (Meditazione, 19 marzo 1956).

Questa paternità è ben sottolineata nei Vangeli: «Un angelo del Signore gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”» (Matteo 1,20-21). Imporre il nome significa dare al bambino la sua identità sociale: Gesù può essere riconosciuto come discendente di Davide, portando a compimento le speranze ebraiche (2 Samuele 7,12-16; Salmo 89,36-37; Isaia 9,6-7; Geremia 23,5-6; 33,15-17). «Nella società ebraica, chi non ha padre, e quindi un nome, non ha diritto di parola in pubblico ed è escluso dalla vita sociale. Senza la paternità di Giuseppe, Gesù non avrebbe potuto annunciare il Vangelo e svolgere la sua missione. […] La genealogia di Giuseppe determina l’identità di Gesù» (Giancarlo Pani, Con cuore di padre, Giuseppe ha amato Gesù. La Civiltà Cattolica, 4 marzo 2021).

Gesù è dunque affidato alla responsabilità e all’amore paterno di Giuseppe. Un legame più volte ribadito. Così, quando Gesù aveva dodici anni ed era rimasto nel Tempio all’insaputa dei genitori, ritrovatolo, sua madre gli dice: «Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Luca 2,48); iniziata la sua missione, la gente della sua patria, lo conosce come “il figlio di Giuseppe” o “il figlio del tekton (carpentiere)” (cfr Matteo 13,55; Luca 4,22; Giovanni 1,45; 6,42).

Dire “figlio di” indica la forte unione tra il figlio e il padre e la sua somiglianza al padre. È quanto Gesù afferma riguardo al Padre celeste, ma può essere applicato anche al padre terreno Giuseppe: «il figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal padre; quello che egli fa, anche il figlio lo fa allo stesso modo» (Giovanni 5,19).

Al tempo di Gesù i figli erano inseriti nel dono dell’Alleanza, e venivano educati fin da piccoli ad amare e a rispettare Dio, ad obbedire al padre e a conoscere la storia e le tradizioni del popolo ebraico. Fino ai tre anni era la madre a dare una prima forma di istruzione. Dopo i tre anni, i figli maschi venivano affidati al padre: Giuseppe introduce Gesù nella conoscenza della Torah e nei segreti del suo mestiere, perché possa continuare la sua opera. Ed è il padre che celebra, in famiglia, le principali feste religiose e, certamente, da giudeo osservante, avrà condotto suo figlio in sinagoga ogni sabato.

Giuseppe è dunque colui che custodisce, protegge, indirizza il cammino di Gesù. Come vuole l’etimologia stessa della parola. “Padre” deriva dal sanscrito pati (radice pa), che significa nutrimento ma anche protezione. Padre è colui che nutre, dà da mangiare ai suoi figli: cibo materiale, ma anche spirituale, d’amore, di esempio. L’etimologia della parola padre è strettamente connessa anche a quella di pane, pasto, pascere. Il padre è, quindi, colui che si assume il compito di provvedere alla sopravvivenza della famiglia e al suo sostentamento.

La paternità di san Giuseppe si è espressa «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» (Paolo VI, Omelia, 19 marzo 1966).

Giuseppe, «nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi» (Papa Francesco, Lettera apostolica Patris corde, 2020).

Don Giacomo Alberione, rivolgendosi ai Discepoli, scrive (San Paolo, febbraio 1953): «La dignità di S. Giuseppe è massima… Infatti Egli era capo della Sacra Famiglia: perciò partecipe dell’autorità e dell’affetto del Padre Celeste verso il Divin Figlio; partecipe della sua sapienza per comunicare a Gesù Cristo la volontà sua». Anni dopo, aggiunge (San Paolo, gennaio 1965): «È molto utile che i Discepoli conoscano bene il loro Protettore San Giuseppe. […] Il Discepolo conosca la dignità, la santità, la missione di San Giuseppe. […]San Giuseppe fu docile strumento nelle mani del Padre Celeste a disporre tutto per la nascita, la salvezza da Erode, la fanciullezza e la preparazione della Vittima, Sacerdote, Maestro Divino. […] San Giuseppe modello di ogni virtù, di vita interiore, di silenziosità operosa, docilità al volere di Dio, osservante di tutte le prescrizioni religiose e sociali. Il mistero della sua intimità con Gesù, nella sua infanzia e giovinezza a Betlemme, in Egitto, a Nazaret: soavi conversazioni, comunanza di lavoro, pene e consolazioni. Capo della Sacra Famiglia, modello dei padri […]. Il Discepolo conosca, ami, imiti, preghi san Giuseppe».

Rivolgendosi a san Giuseppe, Dio gli ha chiesto di fare da padre a Gesù, di essere parola per colui che era la Parola. Essere padre, per Giuseppe, ha significato prendersi cura di Gesù, inserirlo nell’Alleanza, educarlo all’apprendimento e all’osservanza della Torah. E fare in modo che la Parola si manifestasse al mondo. Accompagnandolo, inserendolo nelle realtà e nella cultura del tempo. Una custodia, quella di Giuseppe, complementare a quella di Maria che diede al mondo il Figlio. E il verbo latino che traduce “diede” è edidit, che don Alberione interpretò anche come “editò”. Spiega così la sua idea: «Col nome di “edizione” non intendiamo soltanto un libro: noi intendiamo altre cose. La parola edizione ha molte applicazioni: edizione del periodico, edizione di chi prepara il copione per la pellicola, di chi prepara il programma per la televisione, di chi prepara le cose da comunicare per mezzo della radio. “Maria edidit nobis Salvatorem” dice la liturgia; la Vergine SS.ma ci diede il Salvatore. Usa il verbo “edidit”» (Meditazione dettata il venerdì 3 dicembre 1954).

Anche al Discepolo, unito in modo complementare al Sacerdote, come è stato per san Giuseppe e Maria, Dio affida la Parola. Il suo compito è custodirla, viverla e farla giungere agli uomini di oggi.

Nell’ultimo Capitolo Generale (29 maggio – 19 giugno 2022), l’obiettivo che ci siamo proposti recupera l’idea di “editore”: «Noi, “editori” paolini, ci impegniamo ad essere artigiani di comunione per annunciare profeticamente la gioia del Vangelo». Nella presentazione degli Atti del Capitolo, il Superiore Generale commenta: «Fin da subito balza agli occhi l’espressione “editori” paolini. I capitolari l’hanno accolta con tutta la sua forza simbolica e carismatica, proprio a partire da come è interpretata dal Beato Giacomo Alberione».

Avendo san Giuseppe come patrono e protettore, per i Discepoli è importante entrare nel segreto della sua paternità. Accogliendo la missione che Dio gli affidava, egli si è immerso nella realtà del suo figlio, il “Figlio di Dio”, cooperando alla storia della salvezza. Non importano i limiti, la fragilità, i tempi e la società che cambiano velocemente. L’importante è essere testimoni del Vangelo. San Giuseppe ricorda ai Discepoli, ma anche ad ogni Paolino, il valore della testimonianza quotidiana, che nasce dall’ascolto e diventa annuncio di Cristo.

In questo giorno di festa in cui ricordiamo San Giuseppe, rivolgo a tutti i Discepoli in particolare e ad ogni paolino l’augurio di una vita dedita alla Parola. Una Parola ascoltata, custodita, annunciata.

Auguri!

Don Gerardo Curto

Roma, 19 marzo 2024