Don Giacomo Alberione e l’Inter Mirifica

Il 26 novembre è festa di famiglia, di casa. La Famiglia Paolina ricorda l’ingresso di don Giacomo Alberione in Paradiso, nella Gloria di Gesù Maestro, Via Verità e Vita, da lui amato, predicato e testimoniato. Era il 1971. In questo anno, però, vogliamo ricordare anche un’altra data, che è stata importante per don Alberione, ed è il 4 dicembre: in quel giorno, nel 1963, il Decreto Inter Mirifica sugli strumenti di comunicazione viene approvato dal Concilio Vaticano II e promulgato dal Papa Paolo VI. Che affermò nel suo discorso: «Un altro frutto, e di non poco peso, del nostro Concilio è il Decreto sui cosiddetti strumenti di comunicazione sociale, che apertamente attesta che la Chiesa gode della capacità di collegare la vita esteriore a quella interiore, l’azione alla contemplazione, l’apostolato alla preghiera. Anche in questo settore il nostro Concilio farà sì che siano correttamente usufruite e potenziate molte impostazioni e forme di attività che, tanto come strumenti che come documenti, già servono nel mondo intero sia all’esplicazione del ministero pastorale che ad ogni industriosità dei cattolici».

Il Decreto venne approvato dalla quasi totalità dei Padri conciliari (1960 voti a favore, 164 contrari e 7 nulli), nonostante il tentativo in extremis di condizionare la votazione firmato da ventiquattro tra vescovi, arcivescovi e un superiore generale. In piazza San Pietro e nell’atrio della basilica venne infatti distribuito ai Padri conciliari che si recavano per la votazione un ciclostilato che diceva: «Urgente! Venerabili Padri, riletto ancora una volta, prima della votazione definitiva, lo schema “De mediis communicationis socialis” a molti Padri il testo di esso sembra indegno di un decreto conciliare. Si pregano i Padri di riflettere e votare non placet. Infatti lo Schema delude l’attesa dei cristiani, specialmente dei competenti in materia. Se venisse promulgato come decreto ne scapiterebbe l’onore del Concilio». A quanto pare, lo Spirito Santo era di altro parere.

Ed ecco l’inizio del Decreto: «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto nel nostro tempo, l’ingegno umano è riuscito, con l’aiuto di Dio, a trarre dal creato… occupano un posto di rilievo quegli strumenti che, per loro natura, sono in grado di raggiungere e influenzare non solo i singoli, ma le stesse masse e l’intera umanità.

Rientrano in tale categoria la stampa, il cinema, la radio, la televisione e simili. A ragione quindi essi possono essere chiamati: strumenti di comunicazione sociale.

La Chiesa nostra madre riconosce che questi strumenti se bene adoperati, offrono al genere umano grandi vantaggi, perché contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché a diffondere e a consolidare il regno di Dio. Ma essa sa pure che l’uomo può adoperarli contro i disegni del Creatore e volgerli a propria rovina; anzi, il suo cuore di madre è addolorato per i danni che molto sovente il loro cattivo uso ha provocato all’umanità».

Il titolo Inter mirifica si riferisce alle prime parole in latino del documento, come vuole la tradizione dei documenti ecclesiali.

Don Alberione, invitato a partecipare al Concilio Ecumenico Vaticano II (anni 1962-1965), è stato presente sia nella fase preparatoria che nell’effettivo svolgimento del Concilio con numerose proposte, quali: diffondere la Bibbia, accompagnata da note catechistiche, perché entri in ogni famiglia; favorire l’apostolato dei laici; dare impulso ai mezzi moderni e tecnici, atti a divulgare sempre più la verità cattolica: radio, cinema, televisione.

La sua era una presenza discreta: «Lo vedo ancora nell’Aula conciliare – racconta padre Enrico Baragli (membro della Commissione dedicata ai “Mezzi moderni di apostolato” creata dal Papa Giovanni XXIII) – nella tribuna dei Padri Generali. Arrivare quando la tribuna era ancora semideserta, tirar fuori dalla borsa nera la cotta, indossarla e sedersi al suo posto, all’angolo destro della tribuna. Pregare raccolto durante la Messa, ascoltare in silenzio le discussioni, di tanto in tanto prendere qualche nota».

Certamente fu grande la sua soddisfazione quando il Concilio, alla fine della seconda sessione (1963), approva il Decreto sui mezzi della comunicazione sociale, Inter Mirifica, da assumersi come mezzi di evangelizzazione.

Era la conferma all’intuizione profetica che lo aveva guidato fin dall’inizio del secolo. La Chiesa dichiarava “apostolato” l’attività alla quale egli aveva dedicato tutta la propria vita. Scriverà: «Il nostro apostolato è stato approvato, lodato e stabilito come dovere per tutta la Chiesa». E ancora: «Ora non potete più avere dubbi. La Chiesa ha parlato»; «Vi ho dato il meglio. Se avessi trovato qualcos’altro di meglio, ve lo darei ora, ma non l’ho trovato».

Una ulteriore riprova della validità apostolica di don Alberione venne qualche anno dopo, nella testimonianza data dal Papa Paolo VI durante l’Udienza concessa ai partecipanti al Capitolo Speciale della Società San Paolo e alla Famiglia Paolina il 28 giugno 1969: «Dobbiamo al vostro Fondatore qui presente, al caro e venerato don Giacomo Alberione, la costruzione del vostro monumentale Istituto. Nel nome di Cristo, Noi lo ringraziamo e lo benediciamo. Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera (secondo la formula tradizionale “ora et labora”), sempre intento a scrutare i “segni dei tempi”, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, il nostro don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con i mezzi moderni. Lasci, caro Don Alberione, che il Papa goda di cotesta lunga, fedele e indefessa fatica e dei frutti da essa prodotti a gloria di Dio ed a bene della Chiesa; lasci che i suoi figli godano con Noi e con oggi le esprimano come forse non mai la loro affezione e la loro promessa di perseverare nell’opera intrapresa.

In segno pertanto della Nostra benevolenza e della Nostra riconoscenza, a conforto di tutta la Famiglia Paolina e a stimolo di quanti si dedicano alla causa dell’apostolato cattolico mediante la generosa promozione e il retto uso dei mezzi di comunicazione sociale, Noi vogliamo oggi conferire al venerato e venerando don Giacomo Alberione la Nostra Croce “Pro Ecclesia et Pontifice”».

Ispirato da san Paolo, l’Apostolo delle genti, la volontà di don Alberione fu quella di arrivare al maggior numero di persone possibili e con tutti i mezzi, e raggiungerle là dove si trovano: «Tutto il Cristo a tutto l’uomo, a tutti gli uomini, con tutti i mezzi»; «Chi ha lo zelo per le anime, desidera e adopera i mezzi più celeri e più efficaci. Che il Vangelo corra, si dilati, porti salvezza».

L’esigenza apostolica lo porta ad avere del mondo della comunicazione una visione mistica. Dirà, ad esempio: «La libreria è un tempio: il libraio un predicatore, il banco di vendita un pulpito di verità». Ma era anche ben concreto sul progressivo sviluppo degli strumenti tecnologici utili per comunicare: «La stampa, il cinematografo, la radio e la televisione, costituiscono oggi – diceva nel 1960 – le più urgenti, le più rapide e le più efficaci opere dell’apostolato cattolico. Può essere che i tempi ci riservino altri mezzi migliori…». Aveva ragione: l’oggi ci riserva altri mezzi, più potenti, più veloci e in grado di raggiungere tutti.

La celebrazione del 60° anniversario dell’Inter Mirifica ci ricorda quanto la Chiesa ha detto fino ad oggi in termini di comunicazione e di evangelizzazione: ci stimola ad agire, non solo investendo nell’acquisizione di risorse elettroniche e informatiche, nell’uso di un linguaggio appropriato e accattivante, come richiede ogni veicolo di comunicazione, ma nella preparazione di apostoli che siano all’altezza di produrre testi e programmi con creatività e qualità, che parlino il linguaggio degli uomini e delle donne contemporanei e siano al servizio della costruzione del Regno di Dio.

Don Alberione aveva certamente una attenzione particolare alla cultura della comunicazione, ma aveva soprattutto una priorità: «Dobbiamo fondare il nostro lavoro sulla preghiera», diceva. E aveva una grande consapevolezza: «L’apostolato nostro richiede la scienza. Prima la scienza comune, poi la scienza dei mezzi di comunicazione. Il Signore, però, soprattutto ci chiede che ad usare questi mezzi ci sia un gruppo di santi».

Il beato Giacomo Alberione ci ha mostrato il cammino. Una via confermata dal Concilio Vaticano II. Siamo chiamati a “protenderci costantemente in avanti”, a essere innovatori, per attuare ogni giorno l’inedito del carisma paolino nella storia, e per rispondere alle richieste che la storia fa oggi alle intuizioni profetiche di don Alberione. Siamo chiamati ad essere Apostoli, con uno stile di vita originale: vivere e testimoniare la fede con i linguaggi della comunicazione e incarnare il Vangelo nella cultura della comunicazione. Siamo chiamati, ancora, ad essere… paolini!