Sha’ul Paolo: Identità dell’apostolo Paolo

  • Sha’ul Paolo
  • “Io sono un Giudeo,
  • nato a Tarso in Cilicia,
  • ma educato in questa città (= Gerusalemme),
  • formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri,
  • pieno di zelo per Dio” (Atti 22,3),
  • “circonciso all’età di otto giorni,
  • della stirpe di Israele,
  • della tribù di Beniamino,
  • Ebreo figlio di Ebrei;
  • quanto alla Legge, fariseo;
  • quanto allo zelo, persecutore della Chiesa;
  • quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile” (Filippesi 3,5-6);
  • “superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali,
  • accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri…” (Galati 1,14);
  • “cittadino romano di nascita” (Atti 22,28);
  • “ma per il Cristo ho giudicato una perdita tutti questi miei vantaggi” (Filippesi 3,7);
  • “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio…” (Romani 1,1).
  • “Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio” (1 Corinzi 1,1; 2 Corinzi 1,1; Efesini 1,1; Colossesi 1,1; 1 Timoteo 1,1; 2 Timoteo 1,1, Tito 1,1).

Sha’ul Paolo

Sha’ul, Paolo, viene al mondo in una famiglia ebraica praticante. Paolo o, nella sua forma ellenizzata, Paulos, era il cognomen di Sha’ul: egli possedeva infatti una doppia nazionalità, quella della città di Tarso e quella di cittadino romano.

Nella Roma antica, gli uomini avevano tre nomi propri che erano indicati come:

  • praenomen: era il primo nome, ma, eccetto che per le relazioni familiari e confidenziali, era poco importante, ed era raramente usato da solo. Tra i “praenomina” maschili più usati, abbiamo: Appius, Flavius, Publius, Titus….
  • nomen: era il secondo nome, e individuava la Gens, un gruppo di famiglie (familiae) che condividevano lo stesso nomen. Tra i “nomina” noti della Roma antica, abbiamo: Claudius, Cornelius, Domitius, Valerius…
  • cognomen: era il terzo nome. Comparve all’inizio come soprannome (che rifletteva qualche tratto fisico o della personalità) o nome personale che distingueva un individuo all’interno della Gens. Il cognomen si trasmetteva dal padre al figlio, distinguendo di fatto la famiglia nucleare all’interno della Gens.

Un esempio: Marcus (praenomen) Aurelius (nomen che dice l’appartenenza alla Gens Aurelia) Antoninus (cognomen, che indica la famiglia degli Antonini).

Nelle sue prime apparizioni negli Atti il nome usato per Paolo è Saulo (in greco, Σαυλ, Saùl, oppure Σαυλος, Sàulos, traslitterazione dell’ebraico שאול, Shaʾùl). L’etimologia è connessa al verbo ebraico שאל, shaʾal (= «domandare», «pregare»): e significa «colui che è stato chiesto (a Dio)», «colui per il quale si è pregato». Nel suo epistolario, tuttavia, Paolo non si identifica mai con il nome Saul. Il nome più ricorrente negli Atti, e l’unico usato nelle lettere, è Paolo (che significa “piccolo”).

Io sono un Giudeo

Il termine “Giudeo” indica prima di tutto l’appartenenza al regno meridionale di Giuda, costituitosi alla morte del re Salomone (circa 933 a. C.), quando il Regno si scisse in due entità autonome: il Regno di Israele al Nord della Palestina, composto dalla maggior parte delle tribù ebraiche; il Regno di Giuda nel Sud, comprendente il territorio della tribù di Giuda, di Simeone e la maggior parte di Beniamino. Il regno gravitò attorno alla capitale Gerusalemme e al suo Tempio. I re furono della dinastia davidica. Affermare di essere Giudeo significa, quindi, inserirsi nella tradizione della dinastia davidica e vivere secondo la Legge di Mosè.

Nato a Tarso in Cilicia

Paolo nasce a Tarso, in Cilicia (Atti 22,3; cfr Atti 9,11-30; 11,25; 21,39), negli anni tra il 5 e il 10. Tarso, sulla costa sud-est dell’Asia Minore, era già ricca di un passato di quattro millenni. Paolo è fiero della sua città natale: politicamente, economicamente e culturalmente, è una delle città più ricche e brillanti del Mediterraneo orientale. La sua popolazione anatolica è stata incrementata, nel corso delle invasioni, da assiri, persiani, greci, romani; era anche presente una comunità ebraica della diaspora che ha dato alla città una colorazione particolare.

Paolo fa parte di questa comunità. La sua famiglia, probabilmente agiata, gli ha dato i migliori maestri della città. Nell’incontro tra due civiltà, quella greco-romana a occidente e quella semitico-babilonese a oriente, Paolo trova ampie dimostrazioni della superiorità della Torà che i suoi antenati gli hanno trasmesso a prezzo di tanti sacrifici.

Il mestiere che Paolo esercitava lo si ricava da Atti 18,3: l’apostolo si mette a lavorare nella bottega di Aquilàs e Priscilla, che facevano il suo stesso mestiere: σκηνοποιοι, cioè “fabbricatori di tende”. Nel mondo israelita, anche le persone più ricche onoravano il lavoro e, di qualsiasi mestiere si trattasse, questo veniva trasmesso di padre in figlio, poiché il Talmud diceva: “ama il lavoro, detesta di fare il padrone” e “chiunque non insegna una professione a suo figlio, gli insegna a rubare”. Il padre di Paolo doveva quindi essere un fabbricante di tele per tende. Si trattava di una stoffa tessuta con peli di capra, impermeabile, nota in con il nome di cilicio, appunto perché tessuta e filata in Cilicia. Nessuna meraviglia che il padre di Saulo esercitasse un mestiere apparentemente modesto: era di regola che gli intellettuali, i dottori della Legge fossero anche artigiani o operai.

Cittadino romano di nascita.

Avere questa cittadinanza, nell’antico Impero Romano, era un privilegio e motivo di orgoglio. Concedeva diritti esclusivi, vantaggi e trattamenti di favore in varie situazioni. Paolo ne farà uso di fronte agli avversari e a quanti volevano impedire o bloccare la sua missione. Ne farà uso anche di fronte al tribuno romano che lo aveva fatto arrestare; e se ne avvantaggia durante la prigionia per continuare la sua missione apostolica.

Il titolo di cittadino romano veniva accordato solo in rari casi, specie nelle regioni lontane dal centro dell’Impero. Questi titoli, una volta acquisiti, facevano parte del patrimonio familiare e passavano ai figli. Paolo era, per nascita, cittadino romano (Atti 16,37-38; 22,25; 25,7-12). Non è chiara l’origine di questo suo status: forse ne avevano beneficiato i suoi avi, fabbricatori di tende, distintisi per l’aiuto militare fornito all’esercito romano durante una campagna militare di Cesare, Antonio o Pompeo.

Educato in questa città (= Gerusalemme).

Formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri.

Il padre di Paolo vuole fare di lui un dottore della Torah, e lo manda a Gerusalemme a studiare. Qui non c’è bisogno di cercare il proprio luogo di culto, in mezzo a tanti altri santuari idolatri; tutto conduce al Tempio. Qui Paolo prosegue i suoi studi: seduto per terra, ascolterà il suo maestro, i suoi midrashim, le “balakah”, le minuziose prescrizioni rituali e le “haggadah”, gli insegnamenti dottrinali più edificanti. Paolo è allievo di Rabban Gamli’el l’Anziano, il più dotto scriba fariseo del momento, nipote del famoso Hillel. Gamaliele è “dottore della Legge, stimato presso tutto il popolo” (Atti 5,34). È, inoltre, un nassi, vale a dire, un patriarca, un membro eminente del Sinedrio. Uomo di grande rettitudine e profonda spiritualità, offriva un esempio di vita e un insegnamento impeccabile, tanto che veniva chiamato non Rab (Maestro), non Rabbì (Mio Maestro), titolo abituale dei saggi del Talmud, ma Rabban, cioè “nostro maestro”. Da lui Paolo assume la profondità di una formazione farisaica, che manterrà tutta la vita.

Circonciso l’ottavo giorno.

Il padre di Paolo, attaccato alla religione dei padri, fa circoncidere il figlio l’ottavo giorno, proprio come prescrive la Torah: (Genesi 17,9-10.12; Levitico 12,3).

Paolo, ebreo dalla nascita, dalla nascita è inserito, con il segno di elezione della circoncisione, nell’Alleanza con Dio. Vive fin dalla nascita nell’atmosfera calorosa di un focolare ebraico, rischiarato dalla lettura della Bibbia. Impara a leggere nella Torà: per lui, la parola di JHWH è un libro che vive ogni giorno dentro di lui e attorno a lui secondo il ritmo dei sabati, delle feste bibliche e dei riti sinagogali.

Della stirpe d’Israele.

Paolo era un ebreo della diaspora, apparteneva cioè a quelle famiglie che, per motivi diversi, si erano allontanate da Gerusalemme e si trovavano a vivere in un contesto sociale pagano. Sullo sfondo di un simile retroterra, affermare di essere stato circonciso l’ottavo giorno, significa ribadire che la sua identità ebraica non deriva da una conversione; egli non è un pagano che si è avvicinato all’ebraismo. Quello che lui è, lo è dalla nascita. Per diritto di nascita, fa parte del popolo eletto, che Dio ha scelto come suo popolo particolare, luce delle nazioni. Un titolo di onore per un ebreo, specie se consapevole di mantenersi nella tradizione dei padri. Inoltre, dirsi “israelita” è affermare l’appartenenza religiosa e l’Alleanza con Dio.

Della tribù di Beniamino.

Paolo conosce bene il suo passato, i suoi antenati. Risalendo la sua genealogia, emerge la sua appartenenza alla tribù di Beniamino, che Dio ha scelto per trarre il primo re di Israele, Saul, di cui Paolo porta anche il nome. Appartenere a questa tribù è un grande onore. Gerusalemme si trova nel territorio di Beniamino e la tribù è sempre rimasta fedele all’adorazione nel Tempio, per vivere e mostrare l’Alleanza di Dio con il suo Popolo.

Ebreo da Ebrei.

Il termine “ebreo” ha una tonalità religiosa, linguistica e culturale, ed è motivo di onore. Viene usato per indicare il grande passato d’Israele e la fedeltà alla Legge e all’Alleanza con Dio. Gli ebrei sono coloro che in un mondo per loro estraneo rimangono fedeli alla legge e parlano la lingua ebraica. Paolo è pienamente, totalmente ebreo, appartiene al “popolo eletto”: padre, madre, nonni, sono tutti di questa gloriosa generazione, e appartiene alla tribù di Beniamino, discendente dal re Saul, quindi ebreo da Ebrei.

Fariseo quanto alla legge.

Paolo si definisce “fariseo”, nome glorioso di una élite religiosa scrupolosamente attenta all’Alleanza con Dio e caratterizzata da una radicale obbedienza alla Torà (Atti 23,6; 26,5). Il loro ideale era fare di ogni atto della loro vita un gesto di obbedienza a Dio. Avevano una grande autorevolezza presso la gente ed erano i difensori della Parola di Dio, guide morali e religiose, modello per gli altri. Non per niente il popolo aveva loro delegato di tracciare la linea di confine tra il bene e il male e vi si affidava con fiducia. Più essi si dedicavano al studio della Legge, più la loro autorevolezza si estendeva, acquisendo a buon diritto l’alto dovere di difendere la comunità da quegli insegnamenti che mettevano in discussione l’osservanza della Torah. Paolo era avviato su questa strada: probabilmente se non ci fosse stato l’incontro di Damasco, sarebbe entrato nella storia del giudaismo come uno dei grandi rabbini del I secolo.

Pieno di zelo per Dio.

Quanto a zelo, persecutore della Chiesa.

Superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri….

Lo zelo di Paolo per Dio non scende a compromessi. “Pieno di zelo” indica l’impegno senza condizioni per la fede in JHWH, è la difesa della causa di Dio presso il popolo (cfr Salmo 69,9; 119,139).

Le prime comunità cristiane erano viste come una “setta” di ebrei che avevano abbandonato la tradizione dei padri. Paolo questo non lo può tollerare. Il suo zelo lo spinge a perseguitare i predicatori del cristianesimo per garantire l’eredità ebraica e mantenere sempre viva l’Alleanza con Dio. Cristo crocifisso era per Paolo uno scandalo. Il giudaismo non poteva accettare un messia crocifisso. Di conseguenza: o la Legge come centro della vita, o Gesù. La sua persecuzione dei cristiani nasce non da cattiveria o da un’indole violenta, ma dallo zelo, dall’amore per la parola di Dio e dall’intento di difenderla dagli eretici. La scelta è radicale ma su certe cose Paolo è sicuro di sé e la sua convinzione lo porta ad andare sino in fondo! Non passerà molto tempo e Paolo sarà conquistato da Cristo.

Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge.

Paolo ha seguito in modo irreprensibile tutti i dettami della legge. Il termine “giustizia” indica occupare il posto esatto di fronte a Dio, e per un ebreo significava essere osservanti. Paolo, in fatto di osservanza, non ha niente da rimproverarsi. E nessuno può muovergli accuse. Ha sempre seguito, in maniera irreprensibile, tutti i comandamenti e i dettami della Legge. Ha vissuto in pieno l’Alleanza con Dio.

Ma per il Cristo ho giudicato una perdita tutti questi miei vantaggi.

È l’orientamento definitivo di Paolo, il suo privilegio, il suo vanto massimo. Paolo è consapevole ed è fiero dei tanti privilegi che definiscono la sua persona: privilegi ereditati e privilegi derivanti dal suo impegno personale. Ma Paolo ha fatto una scoperta ulteriore, che è diventata il privilegio massimo: Cristo gli è venuto incontro, lo ha amato, lo ha scelto, e gli ha svelato la sua Gloria. Essere avvolto dalla Gloria del Cristo diventa per Paolo un vanto talmente grande da far sembrare un nulla tutti i suoi precedenti privilegi.