San Paolo e lo sport [1]

Milioni di persone di tutte le età, soprattutto giovani, praticano un’attività sportiva in maniera coinvolgente e a livello planetario. Probabilmente non hanno mai pensato a un proprio patrono.

Si può trovare, è vero, San Cristoforo di Licia come patrono degli atleti con attrezzi appositi, soprattutto per il suo nome che significa “portatore di Cristo”, per via delle leggende sorte intorno alla sua vita e per l’iconografia che lo raffigura come gigante buono, nerboruto, con in mano una palma come bastone e che porta sulle sue spalle Gesù bambino.

Ci sarebbe anche il patrono dei calciatori, San Mauronto, vescovo di Marsiglia, ma di lui non conosciamo nulla e nemmeno il motivo di questo suo patronato. San Bernardo, patrono degli alpinisti; San Sebastiano, patrono degli arcieri; Santa Liduina, patrona del pattinaggio su ghiaccio; San Giorgio, patrono dell’equitazione; San Bernardino da Siena, patrono dei pugili; e così via. A dire il vero, questi patronati (San Cristoforo ne ha ben 39) si perdono nelle vicende di due millenni di cristianesimo: spesso sono legati a fatti particolari tramandati per tradizione orale, non documentati e ormai dimenticati, o del tutto leggendari.

Ebbene, San Paolo potrebbe assurgere al ruolo di patrono degli sportivi, non solo di chi pratica lo sport professionistico o amatoriale, ma anche di chi è semplice appassionato, o tifoso, o comunque interessato allo sport. Questa idea emerge, prima di tutto, dalla riflessione sulle sue Lettere, poi dall’ammirazione del grandioso Tempio a lui dedicato in Alba (Cuneo) ad opera del Beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina.

Chi infatti nella Bibbia parla e scrive di sport in maniera così precisa e competente come San Paolo? Anzi, gli sportivi diventano per lui un esempio di impegno totale (autodisciplina) per raggiungere un buon risultato e i cristiani dovrebbero imitarli nel “correre” dietro al Signore Gesù Cristo.

Il testo più conosciuto sull’argomento, rivolto proprio agli esperti di giochi, come erano i Corinzi, i quali ogni due anni potevano assistere e forse anche partecipare ai giochi istmici, è questo: “Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato” (1 Corinzi 9,24-27).

Risulta evidente la simpatia e addirittura l’empatia di San Paolo per i corridori nello stadio, soprattutto nel suggerimento, anzi nel comando di correre e di vincere tutti che egli dà ai Corinzi, sia pure in una gara di altro genere.

Certo qui si parla dello sport olimpico del passato che non aveva la “professionalità” odierna, ma aveva ideali non solo fisici, ma filosofici e addirittura civili e religiosi.

La preparazione fisica e psichica per la classe militare dei guerrieri era l’esaltazione del corpo e della persona come tale: infatti chi vinceva la gara si accontentava poi di una corona di alloro e dell’applauso del popolo partecipante. La gloria, la fama, la stima erano già una ricompensa; il premio era esclusivo del vincitore e durava poco.

Il ragionamento di San Paolo invece è questo: diventando atleti di Cristo (cristiani) si può e si deve vincere tutti quanti e per tutti la ricompensa è eterna.

Ulteriori riflessioni su questo testo ci portano a scoprire la validità e l’apprezzamento dello sport come padronanza del proprio corpo e quindi di se stesso che diventa cammino verso più alti traguardi (autodisciplina fisica e morale).

Diceva Pio XII, il 20 maggio 1945: “Ciò che all’Apostolo importa è quella realtà superiore, di cui lo ‘sport’ è l’immagine e il simbolo: il lavoro incessante per Cristo, il raffrenamento e l’assoggettamento del corpo all’anima immortale, la vita eterna premio di questa lotta”.

Oggi che lo sport ha tanta parte nella formazione dei giovani possiamo dire che esso non è soltanto un buon esempio, ma un passaggio necessario sulla scia del vecchio adagio: “Mens sana in corpore sano”.

Il sapore filosofico e religioso dell’impegno atletico e sportivo, traportato in ambito cristiano, diventa inoltre cammino ascetico-mistico finalizzato al raggiungimento del premio eterno, e, insieme, dovrebbe evitare la “squalifica” del comportamento scorretto.

Sono, questi, dei buoni motivi per ritenere San Paolo patrono degli sportivi. E il Tempio di San Paolo in Alba (il maggiore del Piemonte) potrebbe diventare la chiesa degli sportivi, ai quali chiede non solo la cura del corpo, ma la cura della mente e dello spirito. Questo Tempio contiene la maggiore rappresentazione marmorea mondiale di San Paolo, detta “Gloria di san Paolo” (metri 8 di altezza per 4 metri di larghezza), dello scultore Virgilio Audagna: l’Apostolo vi appare come l’atleta che ha vinto la gara della vita circondato dai suoi discepoli e benedetto dal Maestro divino.

P. Marcello Lauritano, ssp