Padre “nostro”: riconoscersi figli del Padre e fratelli tra di noi

Il Padre nostro non parla di “figli”, ma essi sono presenti nell’invocazione “Padre”. Per dire “Padre” occorre che qualcuno, prima, abbia detto “Figlio”. La prima parola è dunque quella che rivela tutto l’amore del Padre per il figlio. Ne abbiamo due esempi nei Vangeli. Al momento del battesimo di Gesù, si sente una voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l’amato» (Matteo 3,17). Ugualmente, al momento della trasfigurazione: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Matteo 17,5).

Gesù ci rende partecipi di questa figliolanza: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente!» (1 Giovanni 3,1). Questa figliolanza, però, non può essere imposta: va accolta. Lo si diventa per scelta, accogliendo Gesù e il suo messaggio: «A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Giovanni 1,12).

Figli, dunque. Ma, invocando il Padre, ecco che aggiungiamo l’aggettivo “nostro”. Una parola a cui non badiamo: rimane come un suono. Eppure ha un significato molto forte. Infatti chi dice Padre, inevitabilmente dice anche fratelli, facilmente individuabili: certamente gli amici, ma anche il vicino di casa simpatico oppure dispettoso, il concorrente della mia attività lavorativa, il direttore che detesto, il cognato con cui bisticcio in continuazione, e così via.

Invocare Dio come Padre nostro dice dunque qualcosa su di lui. Ma anche su di noi. Siamo figli, e quindi fratelli tra noi. Gesù, con il suo esempio, ci ha fatto capire cosa sia la fraternità. Non si poneva, nei confronti dei discepoli, dall’alto in basso. Anzi, si è chinato per lavare loro i piedi.

Il Padre nostro è la preghiera dei figli e dei fratelli. In ogni invocazione il figlio deve pensare a tutti i fratelli, come fa il Padre nel suo donarsi. L’uomo, qualsiasi uomo, fa parte del “noi”. È un figlio di Dio come me. E quindi è mio “fratello”. Anche se diverso da me, il Padre lo ama come me.

“Nostro” vuol dire che Dio è Padre di tutti gli uomini, anche del malvagio, anche di colui che odio o mi è antipatico. È bellissima la frase di Pietro che parla in casa di Cornelio: «Dio non fa preferenza di persone» (Atti 10,34).

Dicendo “nostro” siamo chiamati alla responsabilità reciproca. “Lui non mi interessa!” va escluso dal vocabolario. Non ci sono estranei, ma persone che fanno parte della nostra vita. Sant’Agostino, parlando del Padre nostro, offre un’osservazione interessante: «Il Profeta ha detto ad alcuni: “A coloro che vi dicono: Non siete nostri fratelli, rispondete: Siete nostri fratelli”… Dicano pure essi: “Perché ci cercate, perché ci volete?”. Noi risponderemo: “Siete nostri fratelli”. Ci dicano: “Andatevene da noi, non abbiamo niente a che fare con voi”. Ebbene, noi invece abbiamo assolutamente parte con voi: confessiamo l’unico Cristo, dobbiamo essere in un solo corpo, sotto un unico Capo».

[“Voi dunque pregate così: Padre nostro”, 11 – continua]