Non uccidere [4]

«Non uccidere» è il comandamento che Dio, tramite Mosè, ha dato al suo popolo. Il cristiano lo conferma con le sue scelte di vita. Tuttavia, questa consapevolezza spesso si appanna.

Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Enciclica Evangelium vitae, scriveva: «L’umanità di oggi ci offre uno spettacolo davvero allarmante, se pensiamo non solo ai diversi ambiti nei quali si sviluppano gli attentati alla vita, ma anche alla loro singolare proporzione numerica, nonché al molteplice e potente sostegno che viene loro dato dall’ampio consenso sociale, dal frequente riconoscimento legale». «Esplicitamente, il precetto “non uccidere” ha un forte contenuto negativo: indica il confine estremo che non può mai essere valicato. Implicitamente, però, esso spinge ad un atteggiamento positivo di rispetto assoluto per la vita portando a promuoverla e a progredire sulla via dell’amore che si dona, accoglie e serve. […] Assunto e portato a compimento nella Legge Nuova, il precetto “non uccidere” rimane come condizione irrinunciabile per poter “entrare nella vita” (cfr Matteo 19,16-19). In questa stessa prospettiva, risuona perentoria anche la parola dell’apostolo Giovanni (1 Giovanni 3,15): “Chiunque odia il proprio fratello è omicida e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna”» (Evangelium vitae, 17.54).

Don Primo Mazzolari, nel 1955, nel suo libro Tu non uccidere, si fa voce della non violenza, a favore – ad ogni costo – della vita. «Dio ha comandato: “tu non uccidere”, e per quanto ci si arzigogoli sopra “tu non uccidere” vuol dire esattamente questo: “tu non uccidere”». «Quando si tratta di guerra, pare che non ci sia più niente di criminale: tutto viene verbalmente giustificato dalla necessità della guerra… La guerra è sempre criminale… Esiste la guerra difensiva? No, non esistono le distinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo». «La guerra non è soltanto una calamità, è un peccato… Se la guerra è un peccato, nessuno ha il diritto di comandare ad altri uomini di uccidere i fratelli. Rifiutarsi a simile comando, non è sollevare l’obiezione, ma rivendicare ciò che è di Dio, riconducendo nei propri limiti ciò che è di Cesare». «Preparare la guerra, riarmarsi, vuol dire allestire condizioni per la guerra. Le armi si fabbricano per sparare… l’arte della guerra si insegna per uccidere… La non violenza non va confusa con la non resistenza. Non violenza è come dire: no alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva».

Don Mazzolari riporta anche una eventuale obiezione: «Queste idee sono belle: vengono dal Vangelo; però la realtà è un’altra; il concreto è diverso. Un conto la teoria, un conto la realtà. La pace e, quindi, anche il Vangelo è l’utopia, la guerra è la concretezza. Cioè il Vangelo è riservato agli idealisti e agli acchiappanuvole; la realtà non corrisponderà mai al Vangelo. Il realismo guarda al Vangelo come a un intralcio. Questi testi stanno bene in Chiesa, ma la banca, il commercio, l’industria, la guerra, la politica sono un’altra cosa». E risponde: «Solo la sua (del Vangelo) eroica applicazione può salvare il mondo, se no il mondo continua a uccidersi fino a che il pianeta diventi un locale disabitato».

Il vescovo martire di El Salvador, Oscar Arnulfo Romero, diventato ufficialmente “San Romero delle Americhe” il 14 ottobre 2018, come testimone e annunciatore del Vangelo più volte aveva contestato la violenza omicida che si era abbattuta sui più inermi del suo popolo. Il 23 marzo 1980, nella sua omelia, così si rivolgeva ai detentori del potere e ai responsabili dei massacri: «Fratelli! … Davanti all’ordine di ammazzare dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: “Non ammazzare!”. Nessun soldato è tenuto ad obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale, nessuno deve compierla. È tempo che recuperiate la vostra coscienza e che obbediate alla vostra coscienza piuttosto che agli ordini del peccato. La chiesa che difende i diritti di Dio, la legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può tacere davanti a tanto orrore…». È la sua ultima predica in Cattedrale. Il giorno dopo, mentre sta celebrando nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, nel momento in cui alza il calice alla presentazione dei doni, un sicario gli spara dritto al cuore e lo uccide. Aveva appena detto: «Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci spinga a dare anche il nostro corpo e il nostro sangue al dolore e alla sofferenza come Cristo; non per noi stessi ma per dare al nostro popolo frutti di giustizia e di pace».

Rutilio Grande Garcia, altro grande testimone e martire della fede, il 13 marzo 1977, durante una sua predica, diceva: «Sono convinto che presto la Bibbia e il Vangelo non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine, perché ogni loro pagina è sovversiva». Ma sono pagine da annunciare e da vivere, ogni giorno, perché finalmente tutti si scoprano fratelli, amati dall’unico Padre.

Walter Lobina