Le parole che usiamo quando preghiamo

Le parole che usiamo quando preghiamo dicono molto sul nostro rapporto con Dio, su come lo percepiamo e su noi stessi. Quali sono le preghiere che gli rivolgiamo? Scopriamo così che il nostro modo di pregare è quello che abbiamo appreso quando eravamo bambini, dai nostri genitori, dal catechismo o in parrocchia. Col passare degli anni, il nostro bagaglio umano, culturale e sociale si è evoluto e modificato: siamo cresciuti, abbiamo studiato, trovato un lavoro, ci siamo sposati, abbiamo avuto dei figli, e così via. Ma il nostro modo di pregare, la nostra esperienza di preghiera è rimasta quella dell’infanzia. Ripetiamo formule convenzionali: ma cosa diventa la preghiera se continuiamo a pronunciare le stesse parole e, soprattutto, sempre allo stesso modo?

Quando Gesù insegna il Padre Nostro, lo introduce così: «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti… non sprecate parole come i pagani» (Matteo 6,5-9). L’evangelista Matteo, riportando le parole di Gesù, non è preoccupato dall’assenza di preghiera – abbondante nella vita delle persone del suo tempo -, ma da un certo modo di pregare.

Ipocrita è la preghiera di chi si rivolge a Dio “recitando” come un attore sul palcoscenico. Senza alcun coinvolgimento personale. La preghiera dei pagani, invece, è quella che abbonda di formule da ripetere. Non importa l’attenzione al destinatario, ciò che conta è dire tante parole e ripeterle.

Ognuno di noi, quando prega, vive il pericolo della superficialità: tante parole, assenza del cuore, e spesso con il desiderio di finire presto. Come se ciò che vale davvero fosse altrove. Gesù fa notare che la preghiera è invece il luogo del rapporto profondo con Dio. Pregare non è fare affidamento sulle molte parole o sulla efficacia delle formule, ma sulla certezza che il Padre ci è vicino. E che noi viviamo in comunione con i nostri fratelli. Per questo, Gesù, ha inserito un altro elemento, fondamentale, per la preghiera: Dio la ascolta se noi perdoniamo di cuore (Matteo 6,14-15).

Dopo aver pregato, proviamo a chiederci: cosa succederebbe nella nostra vita – quando diciamo «sia fatta la tua volontà» – se il Padre celeste ci esaudisse? Oppure: cosa potrebbe avvenire se ci asteniamo dal dire «dacci oggi il nostro pane quotidiano»?

Molte volte siamo come la moglie e i figli di Zebedeo (Matteo 20,20-23), desiderosi di un posto di prestigio. «Voi non sapete quello che chiedete», dice loro Gesù. Di qui la necessità di comprendere e di diventare consapevoli del significato di ogni nostra richiesta nella preghiera del Padre Nostro. Aumentando la consapevolezza e il nostro coinvolgimento nella preghiera, cresce anche la sua efficacia e la fede di chi prega.

Scopriamo così che l’incontro personale, profondo, intimo, vitale con Dio e la valorizzazione dell’esistenza umana sono lo scopo della preghiera che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli: il Padre nostro.

[“Voi dunque pregate così: Padre nostro”, 2 – continua]