Il linguaggio difficile della profezia

Alcune pagine dell’Antico Testamento risultano dure per il lettore ignaro della matrice culturale e religiosa che le ha prodotte. Tra queste spiccano quelle che riportano gli oracoli di alcuni dei Dodici Profeti, o Profeti Minori.

Nel suo complesso questo singolare corpus propone una rilettura ispirata della storia di Israele, a cavallo della tragedia dell’esilio, allo scopo di illuminare le ragioni della sventura sperimentata e di aiutare ad orientare lo sguardo verso il futuro di Dio.

Il biblista Massimiliano Scandroglio, nel suo ultimo libro Una parola dura, ma feconda. Il linguaggio difficile della profezia e la sua portata “evangelica” (Edizioni San Paolo 2023, pp. 192) presenta e analizza alcuni di questi profeti, che affrontano tematiche cruciali.

Amos: l’inevitabilità della fine, conseguenza ultima della corruzione. «“Fine”, però, non anzitutto per Israele in quanto tale, ma per quella storia di peccato, che lo ha visto insipiente protagonista. Quindi, una parola, che per quanto difficile da comprendere e da accogliere, è risuonata nella tradizione biblica come (sconvolgente) “buona notizia”: al peccato e alle sue conseguenze è posto un termine, mentre il futuro resta affidato alla misericordia di Dio».

Michea: la responsabilità dell’uomo (peccatore) nella distruzione annunciata dai profeti su comando divino. «Il messaggio che consegna ai suoi concittadini, e alla storia, è annuncio di sventura che accusa senza mezze misure il presente e le sue storture; un presente, segnato dall’idolatria del potere e dell’interesse personale. […] La distruzione di Gerusalemme è prima di tutto distruzione di un potere corrotto, è liberazione dal giogo di un sistema disumano; quindi, l’annuncio di tutto ciò equivale a ricordare al mondo che – per grazia di Dio – il male nella sua storica e concreta configurazione ha i giorni contati».

Naum: la lotta di Dio contro il male della storia. «È necessario tenere presente che la lotta di Dio è contro il male, non contro il malvagio! […] Anche l’uomo peccatore, infatti, è vittima del male che compie; pertanto, l’azione di giustizia di Dio, che ha sempre una finalità salvifica, non può che coinvolgere anche lui, sul presupposto necessario di un’effettiva volontà di conversione da parte sua. […] Perché il peccato non ferisce solo chi lo subisce, ma anche chi lo compie! Ecco perché un’azione salvifica da parte di Dio, per essere veramente tale, non può dimenticarsi del carnefice e della liberazione dal male, di cui anch’egli ha un disperato bisogno».

Osea: il castigo sempre pedagogico per la conversione. «Avendo come obiettivo unico la redenzione del suo popolo, Dio è pronto anche a ricorrere a una sempre ponderata e ragionata punizione, perché Israele si ravveda e l’alleanza possa tornare a fiorire».

Sofonia: il Giorno di JHWH, culmine del castigo e tempo di speranza. «Nella storia “drammatica” dell’alleanza fra Dio e l’umanità, il Giorno appare come l’ultimo atto che non ne smentisce, anzi pienamente ne conferma l’intenzionalità salvifica».

L’Autore mostra come anche la strategia punitiva divina risponde sempre a una logica educativa: il castigo non è sfogo irrazionale di rabbia, ma ponderata strategia in vista della conversione del colpevole. E nei passaggi all’apparenza più ostici della profezia è sempre lo stesso Dio a manifestare la propria natura paterna nei confronti di Israele e dell’umanità intera.

Il volume persegue l’intento non di addolcire una profezia considerata troppo ruvida e difficile da recepire, ma di rendere più esplicita l’intenzionalità salvifica inscritta nelle parole dei profeti.

«Da ultimo – scrive Massimiliano Scandroglio -, non bisogna dimenticare che noi guardiamo al testo biblico a partire dalla nostra fede in Gesù […] Di conseguenza, la preoccupazione del lettore e dell’esegeta cristiano è comprendere cosa questo testo concreto, pur nella sua apparente complessità, abbia a che fare con il mistero di Gesù Cristo; cosa questo testo riveli del Dio di Gesù Cristo».