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INTERVISTA IMPOSSIBILE A SAN GIUSEPPE

19 Dicembre 2023
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INTERVISTA IMPOSSIBILE A SAN GIUSEPPE

* Casa di Giuseppe, a Nazareth

È Natale! La mia curiosità mi spinge in un viaggio tutto speciale: la nascita di Gesù! E chi intervistare? Ovviamente Giuseppe il carpentiere, originario di Betlemme, padre di Gesù. Un uomo di poche parole, portato più ad agire che a discutere. Ma è anche una persona di grande interiorità e una notevole capacità di relazione. È giovane, occhi scuri, barba appena accennata. Noto subito la sua estrema cordialità nell’accogliermi nella sua casa. E, prontamente, mi offre dell’acqua fresca.

Chi è Giuseppe, visto da vicino?
Una persona felice. Ho visto nascere Gesù, l’ho tenuto tra le braccia. Con lui e Maria saremo una famiglia speciale…

Lei proviene da una famiglia di re e si ritrova a essere un falegname. Cosa è avvenuto?
In realtà sono un tekton, con varie mansioni che vanno da carpentiere a impresario edile ad architetto. Un lavoro importante che non è in contrasto con le mie origini. Il re Davide aveva il compito di “pastore” del suo popolo, io “costruisco” per il mio popolo.

Si dice in giro che, quando ha scoperto che Maria era incinta, è rimasto sconvolto. Può spiegare cosa è veramente successo?
Il mio turbamento è stato interpretato male. Con Maria ero già sposato: era l’anno di fidanzamento; ognuno stava ancora nella propria famiglia, in vista del matrimonio, quando appunto saremo andati a vivere insieme. Per intervento divino è rimasta incinta. Ho avuto timore, di fronte alla realtà di Dio. Volevo farmi da parte. Ma Dio mi ha fatto capire che il mio compito era di rimanere al mio posto. Anche io facevo parte del Suo progetto.

Come è andata veramente la nascita di Gesù? è vero che nessuno vi ha accolto?
La casa c’era. Abitavamo presso alcuni parenti… Ma vede come sono fatte le case? Questa è la stanza centrale. Qui si svolge tutta la vita della famiglia: si mangia, si dorme sopra delle stuoie, ci sono armadi, sedie, giare per l’acqua…

Inizio a capire che le cose si complicano…
Di là c’è una stanza più piccola, usata come deposito e anche come camera per gli ospiti. Viene inoltre usata quando c’è una donna della casa che deve partorire: per la nostra Legge deve stare isolata per 40 giorni, fino al rito di purificazione.

Come mai allora siete dovuti ricorrere alla stalla?
Per il grande afflusso di gente. C’era il censimento, ma era anche la festa delle luci, la hanukkàh. La casa era piena di ospiti, e la stanza dove doveva partorire Maria era occupata. Per questo abbiamo utilizzato la grotta per gli animali. Lì Maria poteva partorire in tranquillità, e non creare disagio agli altri parenti.

Come ricorda il momento della nascita del bambino?
Una emozione grande! Ho preso il bambino, l’ho sollevato e posto sulle mie ginocchia, come vuole l’usanza. E sapevo che era il Messia! Ma le sorprese non sono finite!

Cosa è accaduto?
Alle prime luci dell’alba, alcuni pastori dei dintorni sono venuti a trovarci. Hanno saputo la notizia – così hanno detto – da alcuni angeli. Nella loro povertà, ci hanno portato latte e formaggio. Poi se ne sono andati divulgando dappertutto quanto avevano visto e udito.

Grandi avvenimenti, dunque…
Ma anche in seguito. Alcuni Magi, scrutatori degli astri, sono venuti a trovarci nella casa. Provenivano da paesi lontani. Avevano visto una luce nuova splendere nel cielo. Indicava che il Re dei re era entrato nel mondo. E volevano rendergli omaggio.

In ebraico il suo nome vuole dire: colui che aggiunge. Cosa in particolare sente di aver “aggiunto”?
Aggiungere è unire insieme. Da buon architetto sono anche costruttore di ponti…

Costruire un ponte ha per lei un significato particolare?
Gettare un ponte vuol dire unire due sponde, collegarle attraverso qualcosa di nuovo rispettando la loro identità.

Quale è stata la sua missione più difficile?
Essere il garante del ponte più grande e impensabile che si possa immaginare: quello tra l’uomo e Dio.

Quanto è importante costruire ponti?
Si dovrebbero gettare più ponti, anzi non bisognerebbe perdere occasioni per gettare ponti, per accorciare le distanze, per accogliere la possibilità che qualcuno possa avvicinarsi e che ognuno di noi possa farsi più prossimo agli altri.

E invece si continua a costruire muri…
Ma noi continuiamo a gettare ponti.

Cos’è il Natale per lei?
È accogliere Dio che viene tra noi e lasciarsi trasformare da Lui.

Vedo che si fa tardi. Il sole già illumina di porpora le case…
È tempo di recitare lo Shemàh Israel. E la cena è pronta: focaccine allo zaatar, tabouleh, insalata di couscous, labna, e vino di Engaddi. Questa sera sei nostro ospite. È Natale!

* Articolo pubblicato sulla rivista SE VUOI

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