Shomér ma mi-llailah I VOTI RELIGIOSI NELLA CULTURA DELLA COMUNICAZIONE (6)

Chiamati per essere apostoli

“Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui.1Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare…” (Marco 3,13-19). Poche parole per indicare la relazione intima che Gesù stabilisce con gli apostoli di ogni tempo.

“Stare con lui”. Il rapporto personale con Gesù ha la priorità sulla dottrina, sulle regole, su qualunque altra cosa. Stare con lui significa anche seguirlo dovunque egli vada, accogliere i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, vivere il suo sogno. Di qui l’invio “a predicare”. L’evangelista Giovanni sintetizza bene il significato di questo aspetto: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi” (1 Giovanni 1,1-4). Le parole della predicazione sono il racconto di un incontro che trasforma la vita. L’apostolo le fa conoscere perché altri possano, attraverso la sua testimonianza, incontrare Cristo. Fare esperienza di lui.

Il termine greco apostolos significa inviato. Fa riferimento ai dodici che Gesù ha chiamato perché continuino la sua missione: annunciare a tutti la misericordia di Dio. Agli apostoli di oggi, Gesù chiede di essere annunciatori della gioia del Vangelo, testimoni dell’amore di Dio verso tutti, in particolare coloro che maggiormente subiscono l’esclusione, l’emarginazione, la violenza.

Molte volte Gesù ha lanciato questo appello: “Vieni e seguimi!”. Ancora oggi continua a chiamare: “Vieni e seguimi!”. E fa anche una promessa: “Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giovanni 8,12). Ed è questa luce che il consacrato – con la professione dei voti di povertà, castità obbedienza – trasmette. Allora come oggi, dopo aver affermato “Io sono la luce del mondo” (Giovanni 8,12), Gesù affida come mandato: “Voi siete la luce del mondo” (Matteo 5,14).

Nella Bibbia la luce evoca vita, felicità, salvezza, pace, benedizione, presenza divina: in una parola, il bene in ogni suo aspetto. La luce fa apparire tutte le cose, permettendo all’uomo di riconoscerle, di orientarsi in mezzo ad esse e di muoversi senza timore. Le tenebre, invece, indicano il male e ogni forma di negatività; impediscono di vedere, celano i pericoli, rendono difficile il potersi muovere. La luce, inoltre, non esiste per se stessa. Essa è in funzione delle persone e dell’ambiente da illuminare. La luce rischiara, dissolve le tenebre.

Sempre nella Bibbia, la luce manifesta Dio in azione, che incontra il suo profeta, che protegge il suo popolo! E come per Mosè, il volto del consacrato diventa radioso per aver incontrato Dio, e la gente lo avverte perché irradia Dio stesso!

Consacrarsi al Signore con i voti di povertà, castità, obbedienza in un contesto di vita fraterna significa accogliere l’invito di Gesù ad essere luce del mondo. Una vita appassionata, gioiosa, che fa esclamare: “Questo è possibile perché hanno scelto Dio come loro bene”. E sono la prova che una vita differente, di pace, è possibile.

Una vita che diventa profezia. Il profeta, uomo di Dio, rende visibile il Vangelo nell’oggi: nella frontiera di nuove mentalità, nelle periferie dei “lontani”, nel deserto di chi è escluso, trascurato, dimenticato, abbandonato dalla società. Ovunque, creando futuro: dove c’è Dio, infatti, c’è futuro!

Una profezia che è presenza, continuativa, significativa, vitale. E visibilità: riconoscimento da parte degli altri, identità precisa, fascino, fecondità. Soprattutto, credibilità, offerta nel vivere con convinzione e passione la propria vocazione, nell’attenzione alla gente, nel mantenimento delle promesse.

Shomér ma mi-llailah? Sentinella, quanto resta della notte?” (Isaia 21,6-12; Ezechiele 3,16-21; 33,7-9). Uno dei compiti del profeta, dell’inviato di Dio, dell’apostolo è quello di essere sentinella. La sentinella vigila, osserva: risponde a chi chiede notizie di un nuovo giorno. Ma sa anche essere come il trombettiere dell’esercito, pronto a dare fiato alla tromba (Osea 8,1). Il pericolo arriva inaspettato. Quando è il caso, impedisce di dormire, risveglia le coscienze: il pericolo è il sonno, l’indifferenza, la disattenzione, l’avere altre cose da fare.

Per concludere, una storia tratta dai Detti dei monaci del deserto: “Una volta, Abba Lot andò da Abba Giuseppe, e disse: ‘Abba, per quanto ne sono capace mi impegno nel digiuno, nella preghiera e nella meditazione, e sto in pace con tutti. Che cosa devo fare di più?’. Allora il vecchio monaco si alzò e tese le mani verso il cielo. Le sue dita divennero come dieci fiamme. E disse: ‘Se lo vuoi, puoi diventare completamente fuoco!’”.

di Christian Ricci

pubblicato nella rivista SE VUOI

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