Shomér ma mi-llailah I VOTI RELIGIOSI NELLA CULTURA DELLA COMUNICAZIONE (5)

La Vita di fraternità

Fraternità è una parola che un giovane sente come propria. Come pure “comunità”, sperimentata quotidianamente, sia offline che online. Esperienze come GMG, Taizé, ma anche la rete di amici nel web ne sono una conferma. Prosperano i social network, una piazza per incontrarsi e condividere passioni, idee, interessi, esperienze. Rispondono efficacemente ai bisogni delle persone. “Amici”, che posso scegliere, o che mi hanno scelto: e allora “valgo”.

Le comunità online e offline ormai si intersecano tra loro, e una nuova mentalità sembra pervadere questo ritrovarsi insieme. Comunità aperte, ma liminali, che si caratterizzano cioè per i legami provvisori, destinati a dissolversi alla prima contrarietà, all’emergere di differenze all’interno del gruppo o al venir meno dell’interesse.

Vivere in fraternità è una realtà stupenda, ma può diventare difficile e faticosa, perché la comunità, luogo di condivisione, rivela gli inevitabili limiti delle singole persone. “La vita fraterna è la rivelazione delle tenebre che sono in noi” dice il filosofo Jean Vanier. Come è possibile, allora, che persone con un retroterra umano differente stiano insieme, in modo stabile, nelle comunità religiose?

I voti religiosi di povertà, castità, obbedienza, iniziano a trovare qui il loro significato ed espressione. La vocazione è, allo stesso tempo, convocazione di più chiamati per condividere la vita e la missione. E i voti e la vita di comunità non sono altro che il sì a Dio. È lui a chiamare ed è lui, quindi, che fa da collante allo stare insieme.

Gesù, nell’ultima cena, lascia ai suoi discepoli un’eredità particolare: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche gli uni gli altri” (Giovanni 13,34). Gesù sa bene che il suo non è un comandamento: non si può comandare di amare. Eppure lo chiama così, e dice che è nuovo, nel senso di migliore: l’amore vicendevole sostituisce ogni altro comandamento. E mette se stesso come modello: si è appena chinato a lavare i piedi agli apostoli. L’amore che si manifesta nel servizio. Questo è il distintivo dei discepoli di Gesù. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13,35). Una concretizzazione di questo amore fraterno la troviamo espressa da san Paolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Romani 12,10);“Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri… Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità” (Colossesi 3,12-14).

Gli Atti degli Apostoli presentano l’unione fraterna come risultato della risurrezione: “Erano assidui… nell’unione fraterna… stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (Atti 2,42-44); “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola… ogni cosa era fra loro comune”(Atti 4,32-33). Era la realizzazione del sogno di Dio che diceva: “Non vi sarà nessun bisognoso in mezzo a voi” (Deuteronomio 15,4). Persone provenienti da vari contesti e che non si conoscono iniziano a parlare la lingua dell’amore e della fraternità, condividendo non solo dei beni, ma anche sentimenti ed esperienza di vita. Lo Spirito dona a ciascuno doni diversi. Non vuole l’uniformità ma l’unità, conservando ciascuno la propria personalità, “per il bene comune” (1 Corinzi 12,3-13). Sono in tutto come gli altri, ma differenti, come racconta la Didaché.

Un segno che oggi viene fatto proprio dai consacrati. Chiamati da Cristo, come lui intendono farsi dono e testimoniare che la comunione fraterna è possibile.

Ma era proprio così la comunità descritta dall’evangelista Luca? E sono così le comunità religiose oggi? Luca presenta cosa avviene a partire dalla risurrezione di Gesù. Ma non è un idealista. Sa bene, e lo descrive, che nella realtà non tutti accolgono la novità di Cristo, e le difficoltà di relazione hanno spesso il sopravvento.

I religiosi, che si consacrano con i voti di povertà, castità e obbedienza, realizzano finalmente la fraternità e la comunione? “Vieni e vedi”. Scoprirai delle persone che vivono questo ideale, ma in progress, giorno dopo giorno. E affermano che il sogno di Dio, di una vita piena per tutti, è possibile.

Shomér ma mi-llailah? Sentinella, quanto resta della notte?” (cfr Isaia 21,6-12), chiedono persone e popoli costretti a sperimentare divisioni, esclusione, morte. L’amore di Dio vuole raggiungere tutti. La “sentinella” è la comunità fraterna che diventa missionaria di questo amore.

di Christian Ricci

pubblicato nella rivista SE VUOI

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