Famiglia si diventa

“Famiglia si diventa”: è il titolo del Convegno. È certamente una Famiglia, quella Paolina, in continua costruzione perché è continuamente chiamata ad adattarsi ai cambiamenti e all’evoluzione del mondo nel quale è inserita continuando, tuttavia, a rimanere fedele alla missione – che le è stata affidata – di comunicare il Vangelo.
All’inizio del secolo XX, Dio prepara un giovane di sedici anni a realizzare un’opera il cui fine è mettere a servizio del Vangelo tutte le forme di comunicazione originate dal progresso umano. Il giovane si chiama Giacomo Alberione. Egli, seminarista, nella notte che segna l’inizio del nuovo secolo (31 dicembre 1900), mentre è in preghiera davanti a Gesù eucaristico nel duomo di Alba, sente l’invito di Gesù a «fare qualcosa per il Signore e per gli uomini del nuovo secolo» annunciando il Vangelo da “nuovi pulpiti”, come la stampa, il cinema, la radio, la televisione, e, oggi, l’ambiente digitale. Da questa esperienza interiore, a partire dagli umili inizi del 1914, prende gradualmente volto la Famiglia Paolina, che concretizza il grande carisma racchiuso nel cuore di don Alberione:

vivere e dare al mondo Gesù Cristo,
maestro, Via e Verità e Vita.

Egli afferma: «La Famiglia Paolina è suscitata da san Paolo per continuare la sua opera; è san Paolo, vivo, ma che oggi è composto di tanti membri».
I membri della Famiglia Paolina sono inviati ovunque a «fare la carità della Verità».
Dall’inizio della sua opera, don Alberione pensava a una famiglia di Istituti che insieme dovevano essere “San Paolo vivo oggi”, per continuare la missione di dare Gesù Cristo al mondo. Da uomo riflessivo e pratico, aveva percepito che uno o due istituti non sarebbero stati sufficienti a far rivivere la persona dell’Apostolo: ecco il perché dei dieci Istituti. Con una spiritualità comune e ministeri diversi, essi riproducono la ricca personalità di Paolo:

  • Paolo, missionario e comunicatore universale del Vangelo;
  • Paolo, uomo di preghiera;
  • Paolo, fondatore e animatore di comunità;
  • Paolo, promotore vocazionale;
  • Paolo orientatore e suscitatore di apostoli – uomini e donne – impegnati in tutte le realtà umane, al fine di animarle cristianamente.

Ed ecco, in concreto, la Famiglia Paolina, formata da cinque Congregazioni religiose, quattro Istituti di vita secolare consacrata aggregati alla Società San Paolo, e l’associazione laicale dei Cooperatori.
In merito alle varie Istituzioni della Famiglia Paolina, così scriveva don Alberione:

  • «Vi è una stretta parentela tra esse, perché tutte nate dal Tabernacolo. Un unico spirito: vivere Gesù Cristo, e servire la Chiesa. Chi rappresenta tutti intercedendo presso il Tabernacolo; chi diffonde, come dall’alto, la dottrina di Gesù Cristo; e chi si accosta alle singole anime» (Abundantes divitiae, 34).
  • «La Famiglia Paolina ha una larga apertura verso tutto il mondo, in tutto l’apostolato: studi, apostolato, pietà, azione, edizioni. Le edizioni per tutte le categorie di persone; tutte le questioni ed i fatti giudicati al lume del Vangelo; le aspirazioni sono quelle del Cuore di Gesù nella Messa; nell’unico apostolato “per far conoscere Gesù Cristo” [cfr Giovanni 17,3], illuminare e sostenere ogni apostolato ed ogni opera di bene, portare nel cuore tutti i popoli; far sentire la presenza della Chiesa in ogni problema: spirito di adattamento e comprensione per tutte le necessità pubbliche e private, tutto il culto, il diritto, il connubio della giustizia e della carità» (Abundantes divitiae, 65).
  • «La Famiglia paolina ha la missione di far conoscere, imitare, vivere Gesù Cristo in quanto Maestro» (Ut perfectus sit homo Dei, 1960, n. 242)

«Il modello – per usare una immagine di Papa Francesco – è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangelii gaudium, n. 236). Il poliedro che, nelle sue molteplici facce, lascia rifrangere in modo sempre diverso la luce. Una unità che è armonia nella distinzione.
Don Alberione ha realizzato il suo sogno di evangelizzare attraverso la singolarità e la complementarietà dei vari Istituti, facendo da perno capace di armonizzare le varie iniziative apostoliche. L’importante era arrivare a tutti. A tutti far conoscere il Vangelo. Sentendo sempre la responsabilità della missione e della salvezza di quanti ancora non avevano conosciuto Gesù. Venuta meno la presenza fisica del Fondatore, quell’insieme nella complementarietà è certamente rimasto, ma troppo spesso come ideale. Nella pratica si sono accentuate le individualità di ogni Istituto, certamente una cosa buona, ma è mancata quell’ispirazione che coniugasse il cammino della Famiglia Paolina con la sua missione di evangelizzazione. E difatti ci ritroviamo qui a parlare ancora di… “Famiglia si diventa”.
Nel frattempo sono avvenute grandi trasformazioni e mutamenti epocali a livello della società e del mondo della comunicazione. Una evoluzione che non si ferma, dove tutto cambia, spesso in modo incontrollato e inaspettato.
L’esigenza dell’evangelizzazione diventa perciò sempre più importante in un contesto che vede la progressiva lontananza dalla pratica religiosa e dalla conoscenza del Vangelo e di Cristo. Di qui, il recupero, come Famiglia Paolina, dello zelo apostolico: “insieme per annunciare il Vangelo”, e della stessa audacia apostolica di don Alberione.

Annunciare… Insieme!
Per evitare equivoci, chiediamoci: cosa significa “evangelizzare”? Lo spiega chiaramente Paolo VI: «Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa […], convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri, […] raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. […] Occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo… partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio» (Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, 1975, nn. 18-20).
E cosa significa “insieme”? Oggi ci vengono in aiuto termini come “sinodo”, “sinodalità”, “Chiesa sinodale”, “cammino sinodale”: parole diventate alla moda e spesso pronunciate senza averne una definizione condivisa.
«La parola “sinodalità” non designa un metodo più o meno democratico e ancor meno un metodo “populista” di essere Chiesa. Queste sono deviazioni. La sinodalità non è una moda di organizzarsi o un progetto di reinvenzione umana del popolo di Dio. Sinodalità è la dimensione dinamica, la dimensione storica della comunione ecclesiale fondata dalla comunione trinitaria» (Papa Francesco, Videomessaggio, 26 maggio 2022).
«Sinodalità è camminare insieme, ma è anche, in ciò, avere consapevolezza ciascuno del proprio dono così da metterlo insieme, gli uni al servizio degli altri, cooperando a promuovere quella fratellanza universale fuori dalla quale l’umanità rischia l’autodistruzione. La comunità ecclesiale, popolo in cammino, può e deve esserne profezia. Lo può, se, nell’ascolto e nel discernimento, si rende docile allo Spirito lasciandosene trasformare», così scrive la teologa Cettina Militello nel suo ultimo libro (Sinodalità e riforma della Chiesa. Lezioni del passato e sfide del presente. Edizioni San Paolo 2023).
«Ci sono molte resistenze a superare l’immagine di una Chiesa rigidamente distinta tra capi e subalterni, tra chi insegna e chi deve imparare, dimenticando che a Dio piace ribaltare le posizioni (Luca 1,52): “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”» (Papa Francesco, Discorso, 18 settembre 2021).

Il principio “Quod omnes tangit”…
Il principio giuridico “Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet” (“ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato e approvato”) è da molti ritenuto alla base della sinodalità. Per secoli questo principio del diritto romano fu fatto proprio dalla Chiesa nel darsi un metodo al fine di elaborare regole di fede, indicazioni di vita e norme di comportamento con il concorso di tutti. Si sentiva l’esigenza che l’insieme della Chiesa fosse coinvolto, perché a tutti veniva riconosciuta la stessa dignità di “discepoli del Signore”. È una forma del “camminare insieme” che Gesù stesso ha perseguito e per cui è stato maestro e formatore di coloro che aveva chiamato a condividere con lui la dedizione al “Regno di Dio” e che avrebbe, poi, inviato come suoi testimoni e apostoli.
«A ben pensarci – scrive la Militello nel libro già citato -, si tratta di una norma di buon senso. Come mettere in discussione il fatto che un problema, un aspetto che tocca la vita di tutti esige d’essere discusso e approvato da tutti? […] Va notato tuttavia che la permanenza della formula, di fatto, è inficiata dall’ordinamento ecclesiastico che, per la sua struttura gerarchica, finisce con eludere sia il concorso che il consenso di tutti».
A un certo punto una sensibilità socio-culturale ha purtroppo prodotto quella che papa Francesco – con una immagine molto plastica ed efficace – ha chiamato “una Chiesa piramidale”. E si riferisce a un modo di essere Chiesa al cui vertice c’è un capo come se tutto dipendesse da lui. Lentamente e inesorabilmente, si è interiorizzato e metabolizzato uno stile di diseguaglianza e di disgiunzione, così smarrendo la consapevolezza di essere, tutti e tutte, popolo di Dio in cammino.
«A complicare la questione Chiesa – afferma la Militello – sta il convincimento, del tutto infondato, che la piramide esprima il disegno del fondatore. Gesù, insomma, avrebbe voluto la sua Chiesa come un insieme ordinato di fedeli, pronti ad accettare passivamente le decisioni e le scelte dei “pastori”». «Ma nella Chiesa le cose non dovrebbero stare così. Infatti un compito si esercita… in quanto appartenenti al popolo di Dio, a favore del popolo di Dio, con il popolo di Dio».
Papa Francesco rileggendo la stessa immagine a partire dal Vangelo, si immagina una Chiesa che sia come “una piramide rovesciata”. In questa immagine il vertice si trova al di sotto della base. E chi, dunque, esercita l’autorità non comanda, ma diventa “ministro”, ossia il più piccolo tra tutti.

Commissione Teologica Internazionale
Ed ecco cosa afferma la Commissione Teologica Internazionale nel documento La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2 marzo 2018). Al n. 70 dice:

a) “La sinodalità designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione.

b) La sinodalità designa poi, in senso più specifico e determinato dal punto di vista teologico e canonico, quelle strutture e quei processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello istituzionale, in modo analogo, sui vari livelli della sua realizzazione: locale, regionale, universale. Tali strutture e processi sono a servizio del discernimento autorevole della Chiesa, chiamata a individuare la direzione da seguire in ascolto dello Spirito Santo.

c) La sinodalità designa infine l’accadere puntuale di quegli eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata dall’autorità competente e secondo specifiche procedure determinate dalla disciplina ecclesiastica, coinvolgendo in modi diversi, sul livello locale, regionale e universale, tutto il Popolo di Dio sotto la presidenza dei Vescovi in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma, per il discernimento del suo cammino e di particolari questioni, e per l’assunzione di decisioni e orientamenti al fine di adempiere alla sua missione evangelizzatrice”.

La Comunicazione
Il mondo della comunicazione, con il digitale e la rete delle connessioni, ha certamente influito in tale dibattito. Infatti, si è passati da un sistema di informazione (può essere della Chiesa o di qualunque altro soggetto) che sta al centro e lo diffonde tra i molteplici utenti, a un sistema dove al centro c’è l’individuo, un individuo multitasking, consapevole della sua unicità e importanza, che seleziona, sceglie l’informazione che gli sembra più autorevole o congeniale.
Compito di chi ha la missione di evangelizzare diventa, di conseguenza, quello di rendersi visibile e farsi scegliere, e, soprattutto, rendere visibile il Vangelo e farlo scegliere. Purtroppo, e sono trascorsi vari decenni, la Chiesa come istituzione fa fatica ad accettare i nuovi modelli di comunicazione. Per poi sorprendersi, di fronte alle direttive e documenti che promulga, della disaffezione o dell’indifferenza del popolo di Dio.
Gli elementi fin qui esposti ci offrono utili indicazioni per il focus del nostro incontro.

Un carisma per l’evangelizzazione: memoria e profezia.
Processi di collaborazione e integrazione nella Famiglia Paolina.

Si tratta di rileggere il nostro carisma per vedere come, nel tempo, le diverse componenti della Famiglia Paolina si sono integrate ai fini dell’evangelizzazione; come e quanto i carismi specifici delle singole fondazioni, la spiritualità e la missione, hanno camminato insieme verso l’obiettivo comune di dare al mondo Gesù Maestro Via, Verità e Vita. Questo aspetto riguarda il passato e l’oggi e ognuno dei vari Istituti può fare un approfondimento e indicare, oltre i continui tentativi di miglioramento, le occasioni mancate. Tutti, però, dobbiamo riconoscerlo, ci ritroviamo a costatare l’attuale nostra povertà vocazionale e apostolica. Ognuno dei nostri Istituti conosce, infatti, la difficoltà nel vivere l’apostolato oggi. Problemi di struttura, organizzativi, di personale, di comunicazione. E questo vale anche in rapporto al nostro sentirci uniti nella missione evangelizzatrice. Non bastano i desideri o gli auspici. O fare qualcosa insieme. È necessario un cambio di mentalità, la convinzione di voler cambiare e l’atto pratico del cambiamento.
Nel 1946, alla piccola comunità paolina che viaggia con lui verso gli Stati Uniti, don Alberione sottolinea che non si può guardare indietro, bisogna protendersi in avanti con grande speranza, nonostante la gravità dei problemi e delle difficoltà. Si deve quindi pensare a riorganizzare gli studi, la redazione, la diffusione; allargare i confini della presenza paolina nel mondo; aprirsi ai nuovi mezzi di apostolato; lavorare per le vocazioni e migliorare la formazione.
Anni dopo, rivolgendosi alle suore Pastorelle, dice: «Non stiamo a contare ciò che abbiamo già fatto, ma fare sempre di più, cercare continuamente di protendersi in avanti» (Alle suore Pastorelle, Spirito di famiglia. Fine esercizi, 9 agosto 1954)
Don Alberione insiste su questo tema: «Protendersi in avanti! Tenere sempre presente ciò che ci manca. Non c’è tempo per compiacersi del passato, raccontare le cose che si sono fatte, i risultati ottenuti in questa o in quella diocesi, in questa o in quella giornata mariana, del Vangelo, del catechismo, ecc. Non c’è tempo! C’è solo tempo per ricordare quello che ci manca, se vogliamo essere saggi e apostoli formati sul cuore di S. Paolo» (Alle Figlie di San Paolo, 1957).
Se potessimo chiedere a don Alberione, nostro padre comune, quale possa essere il tema di guida per noi, udremmo ancora quelle stesse parole: “Mi protendo in avanti”. Questo è stato il senso della sua vita paolina; questo è l’ordine che egli ci lascia, a nome del protettore da lui scelto, San Paolo.
Ebbene, nel nostro “protenderci in avanti”, insieme, come Famiglia Paolina, quali aspetti vanno concretizzati nella quotidianità?

Seguendo il sogno di don Alberione, troviamo l’indicazione di alcune attenzioni da avere.

  • attenzione a Dio,
  • attenzione alle persone,
  • attenzione ai linguaggi della comunicazione,
  • attenzione all’organizzazione.

Attenzione a Dio: indica la priorità che, per noi, ha la Parola di Dio. «Tutto io faccio per il Vangelo» (1 Corinzi 9,23): è la dedizione assoluta come atteggiamento e come comportamento, è il coinvolgimento in prima persona. Si tratta di mettere in gioco la nostra persona a motivo del Vangelo, quel Vangelo che abbiamo accolto e che ci ha trasformato. E agire anche in funzione del Vangelo, a vantaggio del Vangelo, a nome del Vangelo, di cui siamo annunciatori. Perché il Vangelo sia conosciuto, arrivi a tutte le genti: “portare tutto Cristo all’uomo”. Mettere la Bibbia nelle mani della gente, ma soprattutto fare in modo che il popolo di Dio la legga e orienti la propria vita seguendo Gesù, Via Verità e Vita.
Due gli aspetti da tener presenti nell’evangelizzazione. I contenuti e la modalità dell’annuncio. Il contenuto deve portare a Dio, e la modalità dell’annuncio deve trasformare chi riceve l’annuncio, e la stessa cultura.
«Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla» (Benedetto XVI, GMG 2005, Spianata di Marienfeld, 21 agosto 2005)
«“Non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore”, e senza che vi sia un “primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 110 [citando Giovanni Paolo II, Ecclesia in Asia]).
Utile, a questo proposito, quanto affermato dal Papa Paolo VI in un suo discorso (Manila, 29 novembre 1970): «“Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Corinzi 9, 16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr Matteo 16,16)». Il Papa prosegue presentando Gesù e la sua presenza nella storia e nella vita delle persone. Poi conclude: «Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo […]. Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli».
Conquistati da Cristo, come Famiglia Paolina, noi ci impegniamo a «dare al mondo Gesù Via, Verità e Vita», a far arrivare «la Buona Notizia» a tutti. E, per arrivare a tutti, è necessario portare il Vangelo dove le persone vivono e operano. Don Alberione offre anche delle indicazioni su come “portare” il Vangelo. Nel suo testo L’apostolato dell’edizione (cap. V) afferma chiaramente che sarebbe limitante credere che basti «parlare di tutto cristianamente». Perché l’apostolo deve «spingersi più innanzi. Egli ha una missione specifica: estendere nel tempo e nello spazio l’opera di Dio». Nel senso di condurre a Dio e far conoscere Dio nel mondo, e adoperarsi per la salvezza delle persone.
Non possiamo accontentarci, perciò, di realizzare prodotti a contenuto religioso o vagamente di ispirazione religiosa. Il nostro compito è realizzare prodotti religiosi che annunciano Dio che si incarna nella storia. In modo che, secondo quanto afferma l’apostolo Giovanni (20,31), l’ascoltatore, o chi viene a contatto con noi, creda in Gesù, il Cristo, il figlio di Dio, e, credendo, abbia la vita eterna.
Oggi, di fronte alla progressiva scristianizzazione e alla non conoscenza che tanti hanno del messaggio evangelico, due sono le alternative: o la parola di Dio ha perso forza storica, o gli apostoli si sono persi per strada. Risuona perciò sempre valido l’interrogativo di Paolo VI: «Che ne è oggi di questa energia nascosta della buona novella, capace di colpire profondamente la coscienza dell’uomo?… La Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e a inserirlo nel cuore dell’uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia?». Eppure «la presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che le incombe per mandato del Signore Gesù, affinché gli uomini possano credere ed essere salvati» (Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, 1975, nn. 4-5).
Questo ci porta alla seconda attenzione.

Attenzione alle persone: è il farsi “tutto a tutti”, in empatia con le situazioni, la cultura, i singoli individui. Evangelizzare è andare incontro all’uomo contemporaneo che incontriamo sulle nostre strade, che si dibatte con i problemi della vita ed è influenzato da una società secolarizzata e consumistica. Don Alberione aveva una predilezione speciale per coloro che vivono ai margini della società: «… specialmente il soccorso è prima per i più bisognosi; poiché il pastore, assicurato il gregge fedele, corre ed espone se stesso per la pecorella smarrita. L’apostolo… va ai singoli, va alle case, va agli avversari; va ai poveri vergognosi che non osano mangiare il pane spezzato dal pulpito alla comune dei fedeli; va agli infedeli che ignorano il Padre ed il Figlio con il suo Vangelo e lo Spirito del Padre e del Figlio; va agli insidiati nella fede, per la scuola, per la stampa, per le massime mondane; va ai dubbiosi, va agli uomini assorbiti dalle cure di governo, di ufficio, di lavoro. […] Parla di Dio e del cielo ai figli di Dio che guardano solo la terra» (Apostolato Stampa, Alba, 1933, p. 109).
Ci dobbiamo sentire – scriveva don Alberione – «come San Paolo, debitori a tutti gli uomini, ignoranti e colti, cattolici, comunisti, pagani, musulmani…» (Regina Apostolorum, Aprile 1951).
Il farsi “tutto a tutti” è legato al desiderio di portare alla salvezza: «Per salvare a ogni costo qualcuno», come dice San Paolo (1 Corinzi 9,22). È un compito che non conosce né limiti né scuse, al quale non possiamo venir meno perché ce lo ha affidato Dio stesso, e dobbiamo compierlo “ad ogni costo”, con quella inventiva di cui soltanto l’amore è capace.
L’attenzione alle persone si traduce nella passione per l’umanità di oggi. E don Alberione ha un interrogativo di un’attualità bruciante: «Dove cammina, come cammina, verso quale meta cammina questa umanità che si rinnova sempre sulla faccia della terra? L’umanità è come un grande fiume che va a gettarsi nell’eternità. Sarà salva? Sarà perduta per sempre?» (Alle Figlie di San Paolo, 1961).
«Quante parole dette a vuoto! Se non si portano le anime a Dio, non le salviamo […]. E abbiamo in mano mezzi così potenti, mezzi che ci ha fornito il progresso e che troppo spesso vengono sfruttati per il male. Che grande responsabilità al tribunale di Dio se non abbiamo usato questi mezzi per fare dei figli di Dio!» (Alle Figlie di San Paolo, 1961).
Fin dagli inizi, don Alberione ha questa preoccupazione: «Cosa pensate lungo il giorno? Cosa sognate la notte? Sognate le anime? Scrivetevi nel cuore: vi sono due miliardi di uomini nel mondo, ma quanti di essi arrivano al paradiso? […] Dite, non v’importa niente di queste anime? […] Li avete scritti nel cuore i due miliardi di anime?» (Alle Figlie di San Paolo, 15 agosto 1931).
Oggi, don Alberione aggiornerebbe ancora i dati da considerare: Nel mondo ci sono circa 8 miliardi di persone. I cristiani sono circa due miliardi e trecento milioni; di questi i cattolici sono un miliardo e trecentosettantotto milioni. E tutti gli altri? Anche loro devono sapere che Dio li ama! Più di cinque miliardi di persone… Siamo presenti in 64 nazioni. Toppo poco. Sentiamo questa responsabilità? Il nostro tempo ha creato straordinari mezzi di comunicazione… Perché non utilizzarli per dare voce al Vangelo? Il motivo di tanta urgenza lo esplicita bene il Papa Paolo VI: «È in causa la salvezza degli uomini» (Evangelii Nuntiandi, 5).
Ebbene, l’uomo e la donna di oggi ci interpellano perché comunichiamo la salvezza che viene da Cristo Maestro, Via Verità e Vita. Ma anche la Chiesa guarda alla Famiglia Paolina perché, con il suo carisma, dia un contributo attuale ed efficace all’evangelizzazione. Infine, è la nostra stessa vocazione a stimolarci per una presenza e una visibilità di apostoli. Quanto ci sentiamo responsabili e impegnati nel far giungere il Vangelo a tutti?
Proviamo a considerare gli ultimi dati Istat (riguardante il 2022) sulla pratica religiosa in Italia. Attestano che la frequenza regolare ai riti religiosi è sempre più un fenomeno di minoranza: chi partecipa alla messa alla domenica è circa il 19% della popolazione; sono assai più numerosi quanti in quell’anno non hanno mai frequentato un luogo di culto (31%). Negli ultimi 20 anni (dal 2001 al 2022), il numero dei “praticanti regolari” si è quasi dimezzato (passando dal 36% al 19%), mentre i “mai praticanti” sono di fatto raddoppiati (dal 16% al 31%). Messi insieme, i praticanti assidui e i mai praticanti ammontano al 50% degli italiani; l’altra metà della popolazione rientra nel vasto gruppo di persone che frequenta un luogo di culto in modo discontinuo e occasionale.
La riduzione della pratica religiosa coinvolge tutte le classi di età, ma è più marcata tra i giovani dai 18 ai 24 anni e tra gli adolescenti (14-17 anni). I praticanti assidui tra gli adolescenti sono passati dal 37% del 2001 al 12% del 2022; mentre, tra i 18-19 anni, la pratica regolare che coinvolgeva nel 2001 il 23% dei soggetti, è scesa all’8% nel 2022.
Dai dati emerge che la messa domenicale attrae sempre di meno gli italiani. Se poi consideriamo la conoscenza della Bibbia, l’ultima indagine Eurisko mette l’Italia, a livello internazionale, al penultimo posto.
Questi dati dovrebbero farci sobbalzare. Che ne è della nostra missione di evangelizzare nella cultura della comunicazione con gli strumenti più moderni che la tecnologia offre? E che dire degli influencer italiani che riescono a raggiungere dai dieci ai venti milioni di utenti? Don Alberione, nel suo protendersi in avanti, si sarebbe certamente interessato delle possibilità offerte da questa modalità comunicativa, e certamente avrebbe incoraggiato ad usarla per evangelizzare. E noi, ci stiamo ancora preoccupando di arrivare a tutti? E cosa facciamo per arrivare a tutti?
Papa Francesco ci sprona: «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno…» (Evangelii Gaudium, 23).
L’attenzione alle persone ci porta direttamente al successivo elemento.

Attenzione ai linguaggi della comunicazione. È necessario tradurre in modo comprensibile il messaggio cristiano nei concetti, negli usi, nel linguaggio e nelle modalità di una data cultura, cosicché il Vangelo non appaia come qualcosa di estraneo, ma come parte integrante di quella cultura e della vita delle persone. Parlare agli uomini di oggi con i mezzi di oggi. È questione di adattamento alla generazione alla quale noi ci rivolgiamo, in uno sforzo continuo di fedeltà al destinatario e alle modalità comunicative che gli sono proprie.
«Sempre intento a scrutare i segni dei tempi, don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi», disse Paolo VI (Ai partecipanti al Capitolo generale della Società San Paolo, 28 giugno 1969).
Il “protendersi in avanti” di don Alberione, inevitabilmente, diventa il nostro modo di attuare l’evangelizzazione. Ma è anche la direttiva pastorale di Papa Francesco: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del si è fatto sempre così. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile, i metodi evangelizzatori…» (Evangelii Gaudium, 33).
La parola chiave, anche nell’evangelizzazione, è: cambiamento. Questo implica la necessità di una mentalità nuova, di un sistema organizzativo nuovo, di linguaggi nuovi, e di profeti e apostoli nuovi. L’attenzione ai linguaggi della comunicazione riguarda la modalità specifica dell’evangelizzazione che ci è stata affidata. Evangelizzare con i moderni mezzi, con i linguaggi e nella cultura della comunicazione è l’impegno, la vocazione, la missione dei religiosi della Famiglia Paolina nella Chiesa oggi.
Il mondo è cambiato, ed è cambiato il modo di comunicare. La Famiglia Paolina ha iniziato con un “pulpito di carta”. Poi si è aggiunto il cinema, la radio, la televisione… Oggi il pulpito di carta è un pulpito che ha bisogno di “navigare” nel vasto mare di Internet e delle reti telematiche.
Siamo chiamati, nel mondo della comunicazione, non solo ad essere professionisti, ma consacrati che vivono e annunciano Cristo, esplicitamente. Testimoni, evangelist e influencer, con gli strumenti della comunicazione e nella cultura della comunicazione. L’evangelist è una persona che fa proprio un messaggio o una determinata realtà, ne parla con efficacia tanto che altri diventano a loro volta evangelist. L’influencer è una persona che, per le sue parole, il modo di essere e di fare, diventa punto di riferimento di un numero considerevole di popolazione nelle idee e nei comportamenti.
Diventa necessario, oggi, per evangelizzare, saper pensare e comunicare in modo crossmediale e omnicanale. È un nuovo sistema di comunicazione, che prende l’avvio dalla convergenza digitale. E mette in rilievo un aspetto: la centralità del messaggio e la sua possibile “distribuzione” in canali e medium differenti. Per il nuovo tipo di utente, multitasking, pronto ad usufruire del messaggio nella diversità di canali e a interagire con esso.
La crossmedialità non è il futuro, ma una esigenza reale attuale. Il suo obiettivo è creare “esperienze”, emozionare, sviluppare relazioni intense: il tempo speso insieme è la nuova moneta della comunicazione. Ingrediente essenziale è una grande storia da raccontare “insieme”. E noi abbiamo questa grande storia da raccontare, quella di Dio che vuole fare di noi il suo popolo, quella di un Padre che desidera che tutti ci riconosciamo suoi figli e, tra noi, fratelli.
La nuova modalità comunicativa è, tra l’altro, uno stimolo per la missione della Famiglia Paolina, che si trova – almeno idealmente – in una situazione di complementarietà nell’unità (come oggi richiede la crossmedialità), e con la medesima missione evangelizzatrice.
Questo ci porta al quarto elemento.

Attenzione all’organizzazione. Don Alberione era consapevole che la missione ricevuta da Dio è impegnativa. Per questo: «vagando con la mente nel futuro gli pareva che nel nuovo secolo anime generose avrebbero sentito quanto egli sentiva… associate in organizzazione» (Abundantes Divitiae, 17). Percepisce la necessità di una organizzazione di persone coinvolte nella sua stessa ispirazione. «La necessità di una nuova schiera di apostoli gli si fissarono così nella mente e nel cuore… Si sentì obbligato a servire la Chiesa, gli uomini del nuovo secolo e operare con altri, in organizzazione» (Abundantes Divitiae, 20). «Pensava dapprima ad un’organizzazione cattolica di scrittori, tecnici, librai, rivenditori cattolici… Verso il 1910 fece un passo definitivo. Vide in una maggior luce: scrittori, tecnici, propagandisti, ma religiosi e religiose… Formare una organizzazione, ma religiosa; dove le forze sono unite, dove la dedizione è totale, dove la dottrina sarà più pura» (Abundantes Divitiae, 23.24). «Oggi, più ancora che nei tempi andati, vale l’organizzazione, specialmente internazionale, in ogni settore, in modo particolare per l’apostolato» (Ut perfectus sit homo Dei, I, 382). «Un’organizzazione larga, potente, di spirito antico e di forme moderne, ossia l’apostolato dell’edizione esercitato non da iniziative particolari, ma da iniziative di carattere universale che dispongano di un esercito di soggetti preparati… un esercito di religiosi, i quali si propongano come fine speciale di esercitare l’apostolato dell’edizione» (L’apostolato dell’edizione, 53-54).
«Chi si ferma o rallenta è sorpassato», scriveva don Alberione (San Paolo, maggio 1949). L’anno seguente riprendeva le parole del card. Elia Dalla Costa: «O noi guardiamo coraggiosamente la realtà, al di là del piccolo mondo che ci sta attorno, ed allora vediamo urgente la necessità di un rivolgimento radicale di mentalità e di metodo, oppure nello spazio di pochi anni avremo fatto il deserto attorno al Maestro della vita; e la vita, giustamente, ci eliminerà come tralci morti, inutili, ingombranti»” (San Paolo, novembre 1950).
Affermazioni fin troppo evidenti nel mondo odierno. Che, tra l’altro, ha proseguito nel suo sviluppo tecnologico immergendoci nella cultura e nella mentalità della comunicazione digitale e di rete. Sviluppo che ha riguardato anche la modalità delle organizzazioni. Nel tempo, si è passati dalla organizzazione piramidale, gerarchica, burocratica, in cui si ottimizza soprattutto l’efficienza, alla organizzazione a matrice, con la trasversalità delle funzioni; poi alla organizzazione orizzontale, con l’ottimizzazione della funzione partecipativa, in modo che tutti si sentano parte dell’organizzazione; infine, alla organizzazione a rete, con l’ottimizzazione della funzione comunitaria e orientata agli obiettivi da raggiungere: la focalizzazione è sull’innovazione, sul superamento dei confini e sul rendere l’organizzazione flessibile e mutevole.
Ultima in ordine di tempo è l’organizzazione di ispirazione: è quella che parte dal “perché” si fanno le cose (“Perché faccio quello che faccio?”); questo “perché” ispira come strutturarsi, come agire, e le cose da realizzare. È il ritorno all’idea originale di don Alberione, anche se in forme nuove, che prevede il coinvolgimento di tutti nell’unica missione e apostolato.
La leadership “di ispirazione” si attua nel processo di “perché-come-cosa”. Al fine di avere un maggiore impatto sul pubblico, inizia ogni comunicazione con il “perché”, facendolo seguire dal “come” e solo alla fine dal “cosa”.
Si tratta di attrarre a sé le persone, dando loro la possibilità di credere in qualcosa, di avere degli obiettivi, di aspirare ad una meta. Il coinvolgimento delle persone avviene solo in questo modo.
Ciò che è importante è il perché fai le cose; solo partendo dalle motivazioni si riescono a convincere le persone della validità delle nostre idee.
Le persone non comprano o accolgono ciò che fai, comprano o accolgono il motivo per cui fai. Così facendo i nostri interlocutori si sentiranno “ingaggiati” e trarranno ispirazione dalle nostre parole.
Cambia decisamente anche il modello di leadership. Il leader oggi è l’elemento ispiratore, trainante, coinvolgente nell’attuazione della missione. Non è più colui che comanda e a cui bisogna obbedire, ma è la persona che sa valorizzare le singole competenze per una innovazione che raggiunga il pubblico.
Oggi si richiede una leadership che abbia certo la competenza necessaria, ma soprattutto che sia “di ispirazione”, nel nostro caso “per l’evangelizzazione”. Il leader di ispirazione è il centro animatore dell’istituzione, vincolo di unità e promotore del suo sviluppo. Con la sua visione di lungo periodo condivide con i collaboratori il suo sogno, spiega loro il “perché” delle azioni che andranno a compiere insieme, ispira a fare altrettanto, rende l’obiettivo “condiviso” sempre appetibile e desiderabile nel tempo, fino al raggiungimento della “vetta” insieme.
Se andiamo indietro nella nostra storia, ci accorgiamo che don Giacomo Alberione era un leader di ispirazione. Sempre pronto a predicare, scrivere, essere presente in ogni Istituzione, in modo che tutti, nella complementarietà, svolgessero l’apostolato di evangelizzatori, avendo la stessa passione per il Vangelo e per le anime.

Conclusione
Quale “Paolino” dunque, per l’oggi? Don Alberione sottolineava: «L’apostolato nostro richiede la scienza. Prima la scienza comune, poi la scienza dei mezzi di comunicazione… Il Signore, però, soprattutto ci chiede che ad usare questi mezzi ci sia un gruppo di santi» (San Paolo, marzo 1968). Paolini che sanno protendersi in avanti e hanno, come valigetta degli attrezzi, il Vangelo e tutta una serie di competenze legate ai linguaggi della comunicazione e al sistema organizzativo. Siamo chiamati a camminare insieme, capaci di “fare squadra”, una squadra di apostoli per evangelizzare. La necessità di un’organizzazione religiosa tesa all’annuncio attraverso i media rimane costante. In questo campo, però, non si può restare a metà strada e tentare semplicemente, in qualche modo, di sopravvivere. Si richiede: unitarietà, sapersi protendere in avanti, spirito di gruppo, capacità di far emergere il proprio volto di comunicatori del Vangelo. Siamo chiamati ad essere apostoli: «Apostolo è colui che porta Dio nella sua anima e lo irradia attorno a sé» (Don Alberione, San Paolo, dicembre 1950).
Tornare alla genuinità della missione paolina ci riporterà alla unicità e qualità superiore del Vangelo, da cui tutti i nostri prodotti e le nostre azioni dovranno derivare. Riporterà a una consapevolezza della nostra identità, ed eliminerà la non coerenza tra prodotti e azioni che realizziamo e il nostro specifico di evangelizzatori.
Accogliere il nuovo che sopraggiunge, con le esigenze che comporta, rispondere agli appelli degli uomini di oggi, avere come centro di riferimento la Parola di Dio: questi gli elementi caratterizzanti lo stile di vita Paolino.
Il compito da assolvere, sui passi di don Alberione, è di creare futuro con un presente efficace. Essere profeti nel mondo d’oggi. Sognare che il mondo, con il nostro apostolato, può essere differente.
Di fronte ad un compito così arduo, ricordiamo le parole di don Alberione: «Occorrono dei santi che ci precedano in queste vie non ancora battute e in parte neppure indicate. Non è affare da dilettanti, ma di veri apostoli» (San Paolo, novembre 1950).
Di fronte ai possibili timori, alle esitazioni, agli ostacoli che possiamo incontrare, ci consola e ci incoraggia quanto afferma Gesù nel Vangelo: «chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste… qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò… Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò» (Giovanni 14,12-14).
Voglio concludere riportando le parole di incoraggiamento che Papa Francesco ha rivolto, durante la GMG 2023, al clero, ai consacrati e agli operatori pastorali (Lisbona, 2 agosto, presso il Mosteiro dos Jerónimos). Vanno bene anche per noi.
«Gesù, passando, “vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti” (Luca 5,2). Gesù allora salì sulla barca di Simone e, dopo aver parlato alle folle, cambiò la vita di quei pescatori invitandoli a prendere il largo e a gettare le reti. Notiamo subito un contrasto: da una parte, i pescatori scendono dalla barca per lavare le reti, cioè per pulirle, conservarle bene e tornare a casa; dall’altra parte, Gesù sale sulla barca e invita a gettare di nuovo le reti per la pesca. Risaltano le differenze: i discepoli scendono, Gesù sale; loro vogliono conservare le reti, Lui vuole che si gettino nuovamente in mare per la pesca. […] Gesù guarda con tenerezza Simone e i suoi compagni che, stanchi e amareggiati, lavano le loro reti, compiendo un gesto ripetitivo, automatico, ma anche affaticato e rassegnato: non restava che tornare a casa a mani vuote».
«Quello che viviamo è certamente un tempo difficile, lo sappiamo, ma il Signore oggi chiede a questa Chiesa: “Vuoi scendere dalla barca e sprofondare nella delusione, oppure farmi salire e permettere che sia ancora una volta la novità della mia Parola a prendere in mano il timone?».
«Gettare di nuovo le reti e abbracciare il mondo con la speranza del Vangelo: a questo siamo chiamati! Non è tempo di fermarsi, non è tempo di arrendersi, non è tempo di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato. No, questo è il tempo di grazia che il Signore ci dà per avventurarci nel mare dell’evangelizzazione e della missione».

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* Conferenza tenuta dal Superiore Provinciale della Società San Paolo, don Gerardo Curto, al Convegno della Famiglia Paolina (Roma, 21 ottobre 2023) Famiglia si diventa. Insieme per comunicare il Vangelo.