Farsi “prossimo” nei social media [7]

l 28 maggio 2023, il Dicastero vaticano per la Comunicazione ha pubblicato una Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media, dal titolo Verso una piena presenza. Attraverso una serie di post, mettiamo in evidenza gli aspetti più peculiari. Ecco il post [7], relativo ai nn. 45-53.

«La comunicazione inizia con la connessione e procede verso la relazione, la comunità e la Comunione. Non c’è comunicazione senza la verità di un incontro. Comunicare è stabilire relazioni, è “essere con”. Essere comunità significa condividere con gli altri le verità fondamentali su ciò che si possiede e ciò che si è».

«Nella realtà sempre più on-life del mondo di oggi, è necessario superare una logica “aut-aut”, che pensa alle relazioni umane in una logica dicotomica (digitale vs reale-fisica-di persona), e assumere una logica “et-et”, basata sulla complementarietà e sull’interezza della vita umana e sociale».

«I media digitali permettono alle persone di incontrarsi al di là dei confini dello spazio e delle culture. Sebbene questi incontri digitali non portino necessariamente a una vicinanza fisica, possono essere comunque significativi, d’impatto e reali. Al di là delle semplici connessioni, possono essere una via per coinvolgersi con gli altri in modo sincero, per intraprendere conversazioni significative, per esprimere solidarietà e per alleviare l’isolamento e il dolore di qualcuno».

«I social media possono essere considerati come un’altra “strada per Gerico”, ricca di opportunità di incontri imprevisti. […]

Allo stesso tempo, la parabola del Buon Samaritano ci ricorda che il solo fatto che qualcuno sia “religioso” (un sacerdote o un Levita) o affermi di essere un seguace di Gesù, non è garanzia che offrirà aiuto o che cercherà guarigione e riconciliazione».

«Nei crocevia digitali come negli incontri personali, essere “cristiani” non è sufficiente. Sui social media è possibile trovare molti profili o account che proclamano contenuti religiosi ma non si lasciano coinvolgere nelle dinamiche relazionali in modo autentico. Interazioni ostili e violente, parole denigranti, soprattutto nel contesto della condivisione di contenuti cristiani, gridano dallo schermo e sono in contraddizione con il Vangelo stesso.

Al contrario, il buon Samaritano, che è attento e aperto all’incontro con l’uomo ferito, è mosso da compassione nell’agire e prestargli assistenza. Si prende cura delle ferite della vittima e la porta in una locanda per assicurarle che continui a essere curata. Allo stesso modo, il nostro desiderio di rendere i social media uno spazio più umano e relazionale deve tradursi in atteggiamenti concreti e gesti creativi».

«Promuovere un senso di comunità significa prestare attenzione ai valori condivisi, alle esperienze, alle speranze, ai dolori, alle gioie, all’umorismo e persino ai momenti di gioco che, di per sé, possono diventare punti di aggregazione per le persone negli spazi digitali».

«Persino nei social media, “ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza” (Fratelli tutti, n. 69). […]. Tutti noi possiamo essere dei passanti sulle “strade digitali”, semplicemente “connessi”; oppure possiamo fare qualcosa come il Samaritano e permettere che le connessioni si trasformino in veri incontri. Il passante casuale diventa “prossimo” quando presta assistenza all’uomo ferito, fasciando le sue ferite. Nel prendersi cura di lui, mira a guarire non solo le ferite fisiche, ma anche l’ostilità e le divisioni che esistono tra i loro gruppi sociali.

Cosa significa allora “curare” le ferite sui social media? Come possiamo “ricucire” le divisioni? Come costruire ambienti ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie geografiche ed esistenziali” delle culture odierne? Domande come queste sono essenziali per discernere la nostra presenza cristiana sulle “strade digitali”.

“Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti” (Fratelli tutti, n. 77)».