L’arte di raccogliere i frammenti per impastare nuovo pane

Farina, spezie, acqua, olio. E poi pazienza, perseveranza, attesa e fatica. Questa la ricetta per impastare il pane che la nonna di fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, ha condiviso con lui nei pomeriggi di complicità della sua infanzia. Il ricordo di questa esperienza è la base, per fratel MichaelDavide, per una domanda molto attuale: «E se usassimo gli stessi ingredienti per dare nuova vita a una Chiesa che per troppo tempo si è nutrita a pane raffermo?». La risposta è nel suo libro La Chiesa che morirà. L’arte di raccogliere i frammenti per impastare nuovo pane (Edizioni San Paolo 2023, pagg. 187).

Con il suo stile inconfondibile, l’autore ci guida in una riflessione sulla necessità di lasciare indietro prospettive, stereotipi, modi di fare, pratiche che hanno portato a storture, che solo ora si cominciano ad affrontare. A queste va aggiunta l’odierna incomprensione fra la Chiesa e i giovani, plasmati da una realtà che lancia sfide inedite rispetto al passato e pronti a vivere le loro identità con rinnovata consapevolezza e libertà.

Non si tratta di fare tabula rasa o di rinnegare ciò che è stato ma di reinventarsi, a partire da ciò che è ancora, per diventare qualcosa che continuerà ad essere a fianco delle prossime generazioni.

Di qui l’importanza di raccogliere le briciole per impastare nuovo pane o, perché no, qualcosa di diverso ma non per questo meno vero o appagante.

Scrive fratel MichaelDavide: «Non ci resta che coltivare appassionatamente l’arte di raccogliere i frammenti per impastare nuovo pane per saziare la fame di vita dei nostri fratelli e sorelle in umanità, in obbedienza al comando del Signore: “Voi stessi date loro da mangiare” (Marco 6,37)”».

«Il Signore Gesù dà se stesso da mangiare per saziare la fame di vita degli uomini e delle donne. Il gesto del pane spezzato e del vino condiviso nella cena pasquale è segno memoriale e sacramentale di una vita interamente donata. Vengono in mente alcune tra le ultime parole del Diario di Etty Hillesum: “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo”».

«È tempo ormai di impastare nuovo pane per saziare la fame dei nostri fratelli e sorelle in umanità, per non lasciare che qualcuno muoia di fame ma pure perché ciascuno possa gustare la gioia di sgranocchiare pane fresco e profumato di vita e di speranza».

Fratel MichaelDavide, pagina dopo pagina, con una scrittura chiara e avvincente, ripercorre vari racconti del Vangelo e ci mostra quanto siano reali nell’oggi e come ci aprano a nuove prospettive.

«Possiamo ora porci la domanda su cosa ci resta tra le mani di una forma di Chiesa che si va sbriciolando sotto i nostri occhi… A ben pensarci ci restano delle briciole da raccogliere e dei frammenti da onorare! Come cristiani del terzo millennio… siamo chiamati e, forse, obbligati a ripartire da queste briciole. Per quanto fragili e poveri, queste briciole e questi frammenti hanno la grazia di essere più “veri” di tante illusioni sulla nostra stessa vita di Chiesa».

«Solo se la Chiesa sarà capace di rinunciare ai propri stereotipi per ascoltare veramente il vissuto degli uomini e delle donne si potranno aprire nuovi granai di speranza per tutti. A partire dalle briciole che cadono dalla mensa imbandita di una tradizione di vita bimillenaria della Chiesa, che ci sembra così gloriosa e ricca in confronto a quello che ci viene chiesto di vivere nel nostro tempo, non dobbiamo solo impastare nuovo pane, ma pure aggiungervi un po’ di spezie. In tal modo sforneremo dai nostri cuori, in cui arde “il fuoco di brace” (Giovanni 21,9) perennemente alimentato dal vento dello Spirito, un pane profumato e persino terapeutico».

«Molte volte, o fin troppe volte, abbiamo immaginato la vita cristiana come un “tozzo di pane” raffermo di cui accontentarsi. Oggi abbiamo bisogno di immaginare una vita cristiana che sia un pezzo di pane profumato. Per questo è necessario non accontentarsi che plachi i morsi della fame e dei bisogni, ma che si faccia degustare prima di essere mangiato per il suo profumo che conquista i sensi e li mette “in festa”».