Don Giacomo Alberione e l’urgenza di evangelizzare [2]

Don Giacomo Alberione è convinto della necessità di numerosi apostoli che, sparsi per il mondo, annuncino e facciano conoscere Gesù. A più riprese, insiste perché si imiti San Paolo, sempre in movimento per raggiungere quante più persone possibili: «Egli aveva un cuore così largo che pensava a tutte le anime. Avere questo cuore paolino!». Per farsi «tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Corinzi 9,22).

Annunciare il Vangelo, tuttavia, non è frutto di improvvisazione. San Paolo ne è convinto. E offre una importante considerazione:

«Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto?
Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?
Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?
E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?» (Romani 10,13-14).

Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”. Queste parole sono del profeta Gioele (2,32); e sono citate anche da Pietro, nel suo discorso a Pentecoste (Atti degli Apostoli 2,21), applicate a Cristo. È una dichiarazione che appare per tre volte nella Bibbia; quando avviene una tale ripetizione, è come dire che è molto importante.

Qual è il messaggio che viene dato? Ogni persona ha bisogno di essere salvata. L’uomo è, infatti, separato da Dio a causa del peccato. Per salvarsi, è necessario il perdono. E colui che salva è solo il Signore Gesù Cristo. Nessuno si può salvare da sé.

Negli Atti degli Apostoli, Pietro, parlando ai Capi del popolo e agli anziani, afferma: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Atti degli Apostoli 4,12). E, quando il carceriere, a Filippi, domanda a Paolo e Sila, che erano prigionieri: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?», gli rispondono: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia» (Atti degli Apostoli 16,30-31). Infatti, «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Corinzi 15,3).

È dunque una cosa semplice da fare. Gesù ha detto: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Giovanni 6,37). Tanto più che, come dice Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Romani 8,35-37). E, più avanti, scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Romani 10,8-9).

Ma a chi è rivolto questo discorso? A “chiunque”, secondo il profeta Gioele, pensando naturalmente al popolo di Israele. Ma ora c’è la sorpresa. Quel “chiunque” il Nuovo Testamento lo fa proprio e lo riferisce a Cristo per tutti coloro che invocano il suo nome. Πᾶς γὰρ ὃς (pas gar hos): tutti. Non ha importanza chi sei, dove ti trovi, cosa hai fatto. Se invochi il nome del Signore, se ti rivolgi a lui, subito ti salverà.

Continua l’Apostolo: “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto?”. Invocarlo è gridare, rivolgersi a Cristo, per ottenere aiuto quando il male ci assilla, quando vediamo la morte. E chi lo invoca sarà salvato. Ma invocare non è dire una formula, il nostro grido deve essere autentico, devo crederci e, soprattutto, credere in Cristo, con fiducia, senza riserve, con il cuore: “se… con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”.

A questo punto, Paolo aggiunge un elemento chiave: “Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?”. Il testo originale è più specifico. Infatti, non dice: “come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?”, ma afferma: πῶς δὲ πιστεύσωσιν οὗ οὐκ ἤκουσαν (pos dé pistèusosin où ouk ékousan), “come crederanno in colui che non hanno udito?”. È necessario credere, confidare in Cristo. Ma perché questo avvenga, occorre prima udirlo parlare. Che non è sentire qualcosa riguardo a lui, sentire uno che parla di un altro. È udire lui.

L’apostolo, non è uno che parla di Cristo. Chiunque può farlo. L’apostolo, è uno attraverso il quale Cristo parla. Se diciamo “che bravo, come parla bene quel predicatore!”, siamo di fronte a una performance di cui siamo spettatori. Ascoltando l’apostolo, dobbiamo invece essere in grado di dire: “Ho udito Cristo che mi parlava”.

Cristo mette la sua Parola nelle parole degli apostoli. «Per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2 Corinzi 5,20), dice Paolo. L’apostolo non ha un messaggio suo proprio. E quando dice cose sue, non è più un inviato.

È Cristo, dunque, che parla attraverso il suo apostolo. Ma anche l’apostolo è necessario. Infatti, continua Paolo, “Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?”. Senza il predicatore è impossibile udire Cristo. La Scrittura rende la salvezza dipendente dall’annuncio.

Qui può sorgere spontanea una domanda. Noi oggi abbiamo la possibilità di avere e leggere la Bibbia. Al tempo di Gesù e degli apostoli pochi sapevano leggere e i rotoli delle Scritture non erano a disposizione di tutti. La Bibbia è la Parola di Dio che posso leggere quando e dove mi pare. Di conseguenza, non mi serve un predicatore per udire Cristo. Questo è vero, se mi riferisco alla conoscenza di qualcosa riguardo a Cristo, o approfondire ciò che ha detto e fatto. Ma non è “udire” la sua Parola. Cristo parla attraverso la voce dell’apostolo. Paolo ne è un esempio concreto. «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Galati 1,11-12); «Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Corinti 1,21). Sino al punto di affermare: «Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» (Galati 1,8-9).

Per questo motivo è necessario che il predicatore sia inviato. È l’ultimo aspetto necessario: E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?Essere inviato significa, per prima cosa, ricevere l’incarico di predicare la Parola di Cristo; ricevere la promessa che Cristo parlerà attraverso di lui; e, infine, parlare dove Cristo invia. Non per niente Paolo afferma: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Galati 2,20). E, nelle sue lettere, si presenta così: «Paolo, chiamato a essere apostolo (cioè inviato) di Cristo Gesù» (1 Corinzi 1,1); «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo (= inviato) per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Romani 1,1); «apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti» (Galati 1,1); «Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti» (Galati 1,15-16); «Lo Spirito Santo disse: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati» (Atti degli Apostoli 13,2); «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero» (2 Timoteo 4,17). C’è annuncio solo quando Cristo parla attraverso il suo inviato. Per questo Paolo enfatizza spesso il fatto che Cristo lo ha inviato a predicare. Egli aveva la promessa che Cristo avrebbe pronunciato la Sua Parola attraverso di lui. E Cristo lo mandò dovunque Egli volesse.

L’essere “inviati” da Gesù era ovvio a quel tempo, e, in via eccezionale, per Paolo. Ma poi? E oggi? Avviene allo stesso modo. Prima di essere assunto in cielo, Gesù dà questo mandato agli apostoli: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28,19-20). Cristo, negli apostoli, affida lo stesso mandato alla Chiesa. Altrimenti non avrebbe senso l’affermazione di andare e predicare il Vangelo in ogni nazione, e che Gesù sarebbe stato con loro sino alla fine del mondo.

Papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, chiarisce questo aspetto. «Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. […] Tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Evangelii gaudium, 20); «Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (Evangelii gaudium, 23); «L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. […] Un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale» (Evangelii gaudium, 111); «Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, 120).