Don Giacomo Alberione e l’urgenza di evangelizzare [4]

Come apostoli, siamo inviati a evangelizzare “tutti i popoli” (Matteo28,19). Ma c’è una difficoltà. Ed è quella di trovarci immersi in una cultura differente rispetto alle nostre conoscenze e abitudini. Stanno vacillando molte delle nostre idee sull’apostolato: sulla maniera di servire Dio e sui luoghi nei quali renderci presenti. Vengono meno le nostre sicurezze e il sistema di credenze, che ritenevamo inamovibile. Ci ritroviamo catapultati in un mondo tecnologico e secolarizzato in cui Dio sembra essere assente e per il quale le parole da noi pronunciate sono praticamente indecifrabili, e i valori che cerchiamo di annunciare gli risultano arcaici e irrilevanti. Cosa fare, come comportarci nell’epoca attuale del post-teismo?

La risposta di don Giacomo Alberione è precisa: bisogna “parlare agli uomini di oggi con i mezzi di oggi e i linguaggi di oggi”.

Dio ci invia in un territorio “sconosciuto” e noi vorremmo fuggire il più lontano possibile. È un mondo che non condividiamo per le sue estreme aperture e possibilità da sperimentare. Preferiamo il mondo di sempre, pur con la sua tragicità che però sappiamo comprendere.

L’esperienza del profeta Giona può esserci utile. Giona era preparatissimo come profeta. Aveva le idee chiare su Dio e sulle persone; su queste ultime chi meritava la benedizione e chi andava maledetto. All’improvviso, Dio gli demolisce ogni schema. «Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: “Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me”» (Giona 1,1-2). Era l’appello di Dio a quel popolo smarrito perché si convertisse, accogliendo il suo amore e perdono. Giona disapprova tale misericordia senza limiti. Non vuole avere niente a che fare con quel popolo. Così, anziché andare a Ninive, si imbarca per Tarsis, nella direzione opposta. Ma Dio è tenace, e quella fuga viene contrastata da un ostacolo dopo l’altro. Finché: «Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: “Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico”» (Giona 3,1-2). Giona si reca a Ninive. Predica la conversione. E Ninive si converte.

L’esperienza di Giona è anche la nostra. Tentiamo di fuggire a “Tarsis”, luogo che può avere molti nomi e occultare molti timori. Però, come per Giona, Dio torna a invitarci a correre l’avventura di Ninive, ci spinge ad andare più in là del conosciuto, verso i deserti, le periferie e le frontiere dove i suoi figli vivono il silenzio che attende una Parola. È un mondo restio a diventare oggetto del nostro apostolato e non sembra avere bisogno delle nostre istruzioni, dei nostri insegnamenti, della nostra predicazione; però con essi possiamo parlare il linguaggio della presenza, del dialogo, della testimonianza, dell’annuncio gratuito, della disponibilità a camminare con loro…

Siamo nati nella frontiera di una umanità che stava perdendo la sua comunicazione con Dio. E la nostra missione oggi è andare nella moderna Ninive a proclamare il Vangelo.

Ci esorta il Papa: «Non abbiate paura delle nuove tecnologie! Esse sono tra le cose meravigliose – “inter mirifica” – che Dio ci ha messo a disposizione per scoprire, usare, far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di figli suoi, eredi del suo Regno eterno. Non abbiate paura dell’opposizione del mondo! Gesù ci ha assicurato: Io ho vinto il mondo! (Giovanni 16,33). Non abbiate paura nemmeno della vostra debolezza e della vostra inadeguatezza! Il divino Maestro ha detto: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Matteo 28,20). Comunicate il messaggio di speranza, di grazia e di amore di Cristo, mantenendo sempre viva, in questo mondo che passa, l’eterna prospettiva del Cielo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Il rapido sviluppo, 14).

Ma come raccogliere la sfida di una cultura diversa? Senza dubbio, non ripetendo semplicemente l’annuncio assuefatto, ma incarnandosi il più possibile nell’ambiente e nella storia; entrando nella società e partendo dall’esperienza della gente; percorrendo insieme un cammino che ci porta a scoprire il vero e il bene; modulando la lettura della Parola secondo la capacità interpretativa e l’orizzonte significativo del popolo.

Ecco che diventa significativo, per noi, l’intervento di Isaia (43,18): «Non ricordate le cose passate». È un invito scandalosamente strano. Perché in Israele esiste la legge di ricordare. Deve ricordare l’Egitto, il mar Rosso, il Sinai. La legge del ricordo in Israele passa dai padri ai figli, di generazione in generazione, perché la dimenticanza è fonte di apostasia. Eppure, nonostante questo, Isaia predica: «Non ricordate più le cose passate». Tanto, più che immediatamente prima di questo invito, il profeta aveva ricordato gli eventi antichi: il passaggio del mar Rosso. Come intendere questo strano invito?

C’è un ricordo vitale, autentico, creativo, dinamico; e ce n’è un altro paralizzante. C’è una memoria che è un punto di appoggio per procedere oltre: come passammo il mar Rosso, passeremo tutti i mari che ci ritroviamo davanti. Ma ci possono essere dei ricordi che impediscono una visione nuova. È il fenomeno della nostalgia, del rifugio nel passato, perché il presente fa paura e ancora di più il futuro. Si tratta di separare il ricordo creativo da quello paralizzante. Perché Dio subito aggiunge: «Ecco, faccio una cosa nuova» (Isaia 43,19).

La vita paolina autentica risponde ai “segni dei tempi” dai quali ci parla lo Spirito, interpellandoci incessantemente. L’alternativa è aprirsi allo Spirito sempre nuovo, creativo, che rompe gli schemi, oppure semplicemente renderci reliquie d’un nobile passato, che si ammira, però non dice nulla all’uomo di oggi. Per questo, si ripete per noi il grido di Isaia: “Non ricordate più le cose passate”. Perché la storia non si è conclusa e a Dio restano molte cose da fare. È nel futuro che abbiamo un appuntamento con Dio. «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi cose grandi» (Giovanni Paolo II Esortazione Apostolica Vita Consecrata, 110).