Don Giacomo Alberione e l’urgenza di evangelizzare [3]

Di fronte alla responsabilità che lo investe, l’apostolo può sentirsi inadeguato. «E chi è mai all’altezza di questi compiti?», afferma san Paolo (2 Corinti 2,16).

Don Alberione è consapevole delle esigenze e della preparazione necessaria all’apostolato. Per questo trova opportuno fare un patto con Dio: il “Segreto di riuscita” (varie edizioni, dal 1922 al 1961). Nel “patto” c’è la consapevolezza della realtà: «Noi dobbiamo acquisire un grado molto elevato di perfezione, maggiore di quello raggiunto dalle persone di vita contemplativa: eppure le nostre pratiche saranno meno numerose. Noi dobbiamo avere una scienza più vasta di quella richiesta in ogni altra professione: eppure le ore del nostro studio saranno minori. Noi dobbiamo riuscire nel lavoro con i media più di qualunque altro professionista: eppure lavoriamo meno degli altri e con maestri imperfetti. Noi dobbiamo essere materialmente – quanto a vitto, vestito, eccetera… – ben provvisti: eppure le nostre risorse sono quasi nulle». Ed ecco allora il patto, sulla fiducia nella promessa di Gesù: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò… Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò» (Giovanni 14,13-14; cfr Matteo 21,22; Marco 11,24). Alla base del patto c’è l’impegno personale: «Per parte nostra, promettiamo e ci obblighiamo: a fare tutto il possibile nello studio, nel lavoro, nella preghiera, e nel praticare la povertà; a fare tutto e solo per la Tua gloria; a lavorare per l’apostolato della comunicazione». A questo punto, la richiesta che impegna Dio: «Ti preghiamo di darci la scienza di cui abbiamo bisogno, la santità che Tu esigi da noi, l’abilità al lavoro che ci è necessaria e quanto è utile ai nostri bisogni naturali, in questo modo: facendoci imparare il quattro per uno, dandoci di santità il dieci per uno, di abilità al lavoro il cinque per uno, di beni materiali il sei per uno».

In uno scritto più recente, don Alberione sintetizza diversamente il suo pensiero: «Il Signore ha voluto la nostra Congregazione per far conoscere Gesù Cristo… agli uomini del nostro tempo con i mezzi del nostro tempo… L’apostolato nostro richiede la scienza. Prima la scienza comune, poi la scienza dei mezzi di comunicazione… Il Signore, però, soprattutto ci chiede che ad usare questi mezzi ci sia un gruppo di santi» (San Paolo, marzo 1969). La santità come forma necessaria perché Dio parli attraverso l’apostolo.

È di conforto, nella Bibbia, la protezione che Dio garantisce al suo inviato. È il caso del profeta Geremia. «Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Risposi: “Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”. Ma il Signore mi disse: “Non dire: Sono giovane. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti”. Oracolo del Signore» (Geremia 1,4-8). Il termine ebraico utilizzato per “giovane” è nahar, e indica il giovane alla ricerca della propria strada. Geremia quindi non si riferisce alla sua età – non importa quale fosse -, ma alla sua mancanza di esperienza. A Dio questo non importa. Di fronte alla titubanza del profeta, Dio sottolinea che nel ministero ciò che conta non è l’io del profeta, ma quello di Dio. Non conta l’età, la cultura o la preparazione del profeta, ma l’essere in sintonia con Dio: dire e fare sempre ciò che Dio dice.

Papa Francesco, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, chiarisce questo aspetto: «Se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù. […] Tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere» (Evangelii gaudium, 120-121).